di Teresa Mannino e Giovanni Donini
in collaborazione con Maria Nadotti
con Teresa Mannino
scena di Maria Spazzi
disegno luci di Roberta Faiolo
costumi Istituto Melodia
al teatro Ponchielli, Cremona, 12 novembre 2024
Si apre il sipario e un applauso travolge Teresa Mannino, in scena al Ponchielli con Il giaguaro mi guarda storto. Fa una pausa e poi dice: «L’altra sera, a Parma, mi hanno fatto un applauso più lungo». E riparte il batter di mani, sostenuto da urla e «Bravaaaa», il tutto condito con sonore risate. Tre tutto esaurito per l’attrice e comica siciliana che circondata da una serie di palle/sfere destinate ad alzarsi come pianeti mette in scena il suo recital, post pandemico. Teresa Mannino parte dal 23 febbraio 2020, quando tutto si fermò. Da quell’esperienza prende spunto il suo nuovo recital. Il giaguaro mi guarda storto è un ritorno alle scene, e quel guardare storto rappresenta un po’ il modo di narrare e narrarsi dell’attrice. Se ne ha un esempio fin dall’inizio. Arriva l’applauso, Mannino fa una pausa, lo sguardo è di taglio al pubblico e parte la battuta sferzante che suscita la risata e porta il pubblico verso l’attrice. Rotto il ghiaccio, il lungo monologo di Mannino può avere inizio e si articola in tre blocchi distinti: c’è la parte introduttiva legata al ritorno alle scene, poi un lungo e comicissimo racconto del rapporto fra madre e figlia adolescente, per chiudere poi con una sorta di deragliamento sulla condizione contemporanea con la scusante di un attacco ironico all’inutilità del genere maschile. Tre blocchi che fra autobiografia e considerazioni in ordine sparso tengono per il bavero il pubblico che accoglie con sonore risate ogni battuta, ogni respiro di Teresa Mannino che non è personaggio, ma è semplicemente lei. Questo segno è dato dal fatto che non solo racconta di sé, ma si mostra in tutto e per tutto com’è. Completo nero, calze gialle ‘antiscivolo’, un vestito che è quotidiano, come alla vita vera si rifanno gli occhiali che in un personaggio sono parte del costume, ma per l’attrice Mannino sono – presumibilmente – semplicemente una necessità. Si dice ciò per cercare di andare al di là delle freddure e delle battute che solitamente intessono i resoconti dei recital di cabaret, ciò che si vuole mettere in evidenza – in questa sede – è la costruzione e la gestione del personaggio/persona che inevitabilmente ogni cabarettista porta con sé, facendo esplodere il proprio vissuto in un terreno comune. A questo aspetto fanno riferimento il difficile passaggio della figlia dall’infanzia all’adolescenza, la presenza/mondo della madre prima cercata e poi rifiutata e l’immancabile assenza della figura paterna. Se ci fosse Lacan parlerebbe di evaporazione del padre. Mannino non arriva a tanto, ma certo mette in evidenza la nullità dei padri/mariti e si porta via con allegro consenso una buona fetta di pubblico. C’è poi trasversale l’aspetto legato alle origini siciliane e alla passione per la montagna, contr’altare a un portato mediterraneo che rimane comunque caratterizzante il modus di essere di Teresa Mannino che rivendica nell’accento e nell’uso del dialetto le proprie origini, come distintive della lingua del Nord e dei comuni costumi nazionali. Tutto si tiene – magari in modo disomogeneo e a tratti in po’ inistito – in Il giaguaro mi guarda storto e questo sguardo di sbieco alla fine si compie in un veloce, televisivo applauso finale che s’interrompe non appena il sipario si chiude. A nessuno viene in mente di richiamare l’artista per un nuovo abbraccio corale, finito lo show tutti a casa, il sipario chiuso equivale al tasto di spegnimento del telecomando. Nicola Arrigoni