coreografia di Philippe Kratz
Compagnia Aterballetto
musica elettronica originale di Borderline Order
costumi di Costanza Maramotti
scene e luci di Carlo Cerri
Prima assoluta al Teatro Ponchielli di Cremona, il 19 aprile 2017
Visto al Piccolo di Milano, Teatro Strehler, dal 7 al 9 luglio 2017
Il 21 luglio 2017 a Reggio Emilia, Chiostri di San Pietro
L'araba fenice di Philippe Kratz
Philippe Kratz conosce bene le parole. E per esprimere da cosa nasce Phoenix, parla di "resilenza", termine che, in psicologia, indica la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità. Da qui un lavoro di scavo da tradurre in una scrittura di movimento. E un titolo, Phoenix, che esprime chiaramente il senso tematico di una rinascita. Come l'araba fenice, l'uccello mitologico, simbolo dei cicli di "morte e rinascita". Segna un ulteriore sviluppo creativo la nuova coreografia di Kratz (dopo Casa di vetro, A occhi aperti, e L'eco dell'acqua), sia per la tematica affrontata che, tradotta in danza, non era di facile adattamento; sia per il vocabolario messo in campo, ricco di spunti stilistici, che denota una conoscenza della materia, necessaria di inventiva. Il giovane danzatore e coreografo di Aterballetto, che ne promuove il talento, si è ispirato ad un racconto della madre che ha dato ospitalità in Germania a dei ragazzi siriani in fuga dal loro paese. Ponendosi domande sulla loro sofferta condizione, e pensando alla forza che li anima nel rischiare per un futuro migliore, con la voglia di farcela, Kratz attinge all'energia interiore dei danzatori per irradiarla attraverso i loro corpi. Li immerge in dei quadrati di luce che arriva da cinque parallelepipedi sospesi a diverse altezze, come a comporre un agglomerato urbano dentro il quale si erge una figura solitaria, mentre accanto, distesa, sosta una massa dormiente prossima al risveglio. I danzatori danzano a terra, con la fatica di staccarsi da essa, quasi risucchiati ogni volta che tentano di alzarsi. Movimenti che rimandano a pose feline, o di insetti. In questo scivolare e rotolare fluido e nervoso, con scatti e collassi, c'è l'idea di una resistenza, di una sfida, di un volere vincere le difficoltà del vivere, di voler ergersi per affrontare il mondo. E l'energia esplode nelle lotte, nelle corse e nei smarrimenti, nei movimenti del gruppo che esce e rientra dentro un corridoio illuminato, e dal quale si staccano robusti duetti maschili che esprimono il senso dell'accoglienza, dell'aiuto, dell'ascolto. Una nuova rinascita, mutata in gesti ampi e con un cambio di musica, che la luce calda, a tutto schermo, alzatosi dal telo nero, sembra annunciare.
Giuseppe Distefano