con Kaori Ito
ideazione scenografia e regia Aurélien Bory
coreografie Kaori Ito
musiche originali Joan Cambon
, disegno luci Arno Veyrat
direttore di palco Tristan Baudoin
, suono Stéphane Ley
, costumi Sylvie Marcucci
ricerca e adattamento Taïcyr Fadel,
scenografia Pierre Gosselin
macchine Marc Bizet
, direzione tecnica Arno Veyrat
produzione e booking Florence Meurisse, Léonor Manuel, Christelle Lordonné, Marie Reculon
produzione Compagnie 111 – Aurélien Bory
co-produzione Le Grand T théâtre de Loire-Atlantique Nantes, Théâtre Vidy-Lausanne, Théâtre de la Ville Paris, Le Parvis scène nationale Tarbes-Pyrénées, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, La Coursive scène nationale de La Rochelle, Agora pôle national des arts du cirque Boulazac-Aquitaine prove Le Grand T théâtre de Loire-Atlantique Nantes, Théâtre Garonne scène européenne Toulouse, Théâtre Vidy-Lausanne
Roma, Teatro Brancaccio, all'interno del Romaeuropa Festival, 29 novembre 2014
Aurélien Bory, il ritrattista visibile
Un ampio drappo morbido d'un nero lucente è lo sfondo su cui si staglia la silhouette di Kaori Ito. Le accarezza la pelle e a ogni movimento risponde rifrangendosi in fitte piegoline che disegnano sul tessuto fugaci motivi decorativi. Nel suo déshabillé di raso chiaro, il corpo esile e pallido della danzatrice sembra luminoso. Fuori di lei, invece, il buio è totale, come il silenzio. Solo il suo battito cardiaco risuona amplificato nella sala. Poi, dal petto, Kaori fa scivolare sull'addome il microfono che ci riporta il borbottio delle sue interiora. Lo spazio è pieno di lei. Tutto è costruito affinché non ci sia dispersione, l'unico punto di fuga verso cui convergono gli sguardi, non solo degli spettatori, ma di ogni maestranza che ha partecipato alla creazione di Plexus, è Kaori Ito.
Se fosse stato uno spettacolo d'altri tempi, si sarebbe aperto il sipario e, fra gli applausi degli ammiratori e il crescendo di una musica trionfante, un occhio di bue avrebbe messo in luce lei, la vedette. Il teatro è cambiato e Bory sa servirsi di mezzi per nulla didascalici, anzi, altamente raffinati per dirci che Kaori Ito non è solo interprete, ma musa ispiratrice e protagonista di questo spettacolo.
Plexus è un ritratto. Il secondo e, solo per il momento ultimo, di una serie iniziata da Aurélien Bory nel 2008, quando creò per la danzatrice di flamenco Stéphanie Fuster lo spettacolo Questcequetudeviens?. Plexus è un ritratto intimo, lo svelarsi per immagini, elaborate e concettuali, di una vita interiore indovinata e ricostruita attraverso l'osservazione di quanto solo apparentemente è ciò che di più esterno possa essere dato di una persona, i suoi movimenti. Ma una danzatrice, cosa può dare di più intimo di sé, se non proprio i suoi movimenti? Quando è sul palco, ogni gesto di Kaori Ito è sensuale e sembra richiamare e richiamarsi a gesti originari, radicati nell'intimità. Nulla di rigorosamente biografico, quindi, non un racconto, ma un ritratto, appunto, in cui lo sguardo del ritrattista è tutt'altro che neutro, e si manifesta in tutta la sua autorevolezza in un'imponente e affascinante struttura scenica fatta di fili flessibili che, a seconda di come vengono colpiti dalla luce, mostrano o nascondono Kaori, suggeriscono o dissimulano la qualità e la tecnica della sua danza.
Fra le danzatrici contemporanee Kaori Ito è senza dubbio una delle più talentuose, in grado di piegare il proprio corpo alle esigenze di un assai vasto ventaglio di tipologie di danza. Il suo è uno stile eclettico, ma ciò che veramente stupisce in lei è la capacità di disarticolare ogni parte del corpo, di farsi marionetta e manipolatrice di se stessa senza perdere mai la grazia, senza mai farsi algida. Penetrando con la sua grande macchina delle meraviglie nell'intimità di Kaori Ito per dipingerla da dentro, Bory amplifica le sue qualità di danzatrice, fornendole di fatto il mezzo per superare anche quei pochi ma ineliminabili stralci di resistenza fisica, i tratti dell'umano, e fa di lei una dea. Grazie a quei fili (per gli spettatori) invisibili, Kaori assume pose plastiche di estrema bellezza e disequilibrio, si innalza in volo, si arrampica sull'aria.
Ma qui si ingenera il paradosso e Plexus compie una torsione a 360° svelando l'altro lato del drappo, l'altra faccia del ritratto, quella del ritrattista. Assolta la tensione a perdere ogni resistenza, raggiunto lo stato di divinità, sul palco non c'è più la danzatrice, ma un'essenza, un corpo volteggiante che pare etereo e ha perso d'attrattiva. In quel momento l'ingegnosissima e misteriosa macchina scenica catalizza su di sé l'attenzione che prima era stata per Kaori Ito. Lo sguardo del ritrattista, nell'oggettivazione della sua macchina, si fa più importante dell'oggetto del ritratto e fa di Plexus al contempo un grande spettacolo di regia e un'eccelsa prova d'attore.
Bruna Monaco