progetto, scenografia e regia Aurélien Bory
Collaborazione artistica e costumi Manuela Agnesini
Collaborazione tecnica e artistica Stéphane Chipeaux-Dardé
Interpreti: Blanca Lo Verde, Maria Stella Pitarresi, Arabella Scalisi, Valeria Zampardi, Chris Obehi e Gianni Gebbia. Musiche Gianni Gebbia, Joan Cambon
Luci Arno Veyrat. Scene realizzate da Pierre Dequivre, Stéphane Chipeaux-Dardé, Thomas Dupeyron
Direzione tecnica Thomas Dupeyron
Direttori di scena Mickaël Godbille, Thomas Dupeyron
Direttore del suono Stéphane Ley
Direttori delle luci Arno Veyrat, François Dareys
Produzione Teatro Biondo Palermo / Compagnie 111 - Aurélien Bory in coproduzione con Théâtre de la Ville-Paris / Théâtre de la Cité - Centre dramatique national Toulouse Occitanie / La Coursive scène nationale de La Rochelle / Agora Pôle national des Arts du cirque de Boulazac / Le Parvis scène nationale Tarbes Pyrénées / Les Théâtres de la Ville du Luxembourg / La Maison de la Danse – Lyon / Fondazione TPE - Teatro Piemonte Europa
Con il sostegno di Institut français / Ville de Toulouse
Teatro Biondo di Palermo dal 20 al 29 ottobre 2023
Repliche dal 5 gennaio al Théâtre de la Ville di Parigi, La Rochelle, Lione, Boulazac Isle Manoire, Ibos, Torino
Palermo! Fonte d’ispirazione per il Teatro Danza. Nel dicembre del 1989 quando giungevano nel nostro Paese gli odori dei calcinacci del muro di Berlino, caduto qualche mese prima, Pina Bausch con i suoi danzatori del Tanztheater di Wuppertal aveva messo in scena al Teatro Biondo uno dei suoi più esaltanti spettacoli titolato Palermo, Palermo, (ripetuto due volte) a rafforzare quasi la tenacia dei suoi abitanti nell’aver cercato di fare di questa terra, tante volte lordata di sangue, una città unica del panorama mondiale. Adesso, dopo quasi 34 anni anche il noto coreografo e regista francese Aurelien Bory, noto anche in Italia per alcuni suoi spettacoli come Plexus e Plan B, s’innamora di Palermo e mette in scena al Biondo Invisibili, ispirandosi ad un affresco del XV secolo di autore ignoto, appellato Il trionfo della morte, visibile e visitabile ai giorni nostri nel Palazzo Abatellis, cercando di svelare spazi invisibili. Un affresco di 6 metri x 6 che, per il modo come l’ha trattato, deve aver ossessionato non poco il nostro Bory. Difatti la tela, a guisa di fondale, fissata solo in alto sul lato della graticcia, riproduce, con abili stratagemmi computerizzati sulla consolle di regia, volti e immagini dei personaggi raffigurati con contorni e colori più vivaci, a volte anche ingranditi, certamente non sbiaditi come l’originale. Così il fondale diventa anche vivo e mobile, in grado di risucchiare al suo interno (questo succede varie volte) le quattro brave danzatrici, Blanca Lo Verde, Maria Stella Pitarresi, Arabella Scalisi, Valeria Zampardi, mentre in altri momenti una di loro riesce ad abbracciare il teschio della morte come se costei l’avesse tirata a sé. Si ha l’impressione che Bory voglia dialogare con la morte, cercando argomenti di conversazione che possano soddisfare le sue curiosità. L’opera, come molti sanno, è dominata nella parte centrale dall’eterna nemica, raffigurata da uno scheletro che cavalca un cavallo dalla bocca aperta, con denti e lingua ben visibili, incredibilmente somigliante a quell’equino cubista della Guernica di Picasso, colta nei momenti in cui, addentrandosi in un giardino, lancia frecce mortali a chiunque incontri sul suo cammino, senza distinguere se ad essere colpiti siano papi, nobili, aristocratici o gente comune, come è naturale che accada nel mistero della vita di noi mortali. Un’opera realizzata forse per un ospedale, da qui i riferimenti di Bory alle sue ballerine che ad un tratto appaiono vestite con camici bianchi da medici, pronte ad alleviare le sofferenze di quanti vi stazionano, ma anche riferito alle catastrofi naturali e alle recenti guerre in Europa e nel Medio Oriente. Lo spettacolo, in prima mondiale, condensato in sessanta minuti, inizia con i suoni astratti del sassofono di Gianni Gebbia, un introibo utile a fare apparire in scena il quartetto delle danzatrici, i cui movimenti veloci e stilizzati di braccia e gambe sembrano quasi omaggiare le singolari coreografie di Pina Bausch, alle quali Bory vi innesca i suoi geniali tocchi, culminanti fra le note di Hallelujah di Leonard Cohen. La scena adesso diventa tutta rossa, compreso l’incredibile affresco e sullo schermo appare il bel volto di Chris Obehi dagli occhi espressivi che ti perforano l’anima, subito dopo lui stesso sul palco con un gommone sulle spalle, diventato ormai un emblema di morte per i migranti africani che fuggono dalle loro terre: un involucro gommoso che rotea su un palco simile ad un grande mare. Le danzatrici sussurrano qualcosa, poi i loro corpi vengono ricoperti da quel dipinto e le loro teste escono fuori come in alcuni spettacoli espressionisti, cui seguono abbracci sensuali alla maniera di Schiele o di Klimt. Infine la scena diventa una grigia nebulosa che s’appoggia sui loro corpi rannicchiati su quel fragile natante, inghiottito da flutti crudeli, avvolti dalle musiche ferali di Joan Cambon. Calorosi gli applausi del pubblico palermitano, contento pure in questi giorni di celebrare con una mostra di foto e documenti nel foyer del Teatro, titolata “Palcoscenico Biondo” a cura di Roberto Giambrone, Rosa Guttilla, Isabella Iozzi, Guido Valdini, i 120 anni di vita. Gigi Giacobbe