di Albert Camus
regia e adattamento Mattia Spedicato
con
Giovanni Conti
Francesca Iasi
Arianna Pozzi
Edoardo Raiola
costumi Francesco Esposito
sound designer Francesco Chieffo studente “Sapienza” Università di Roma – corso di Laurea Magistrale in Musicologia
direttore di scena e light designer Camilla Piccioni
sarta di scena Valeria Forconi
foto di scena Manuela Giusto
Video di scena Carlo Fabiano
Roma – Teatro Studio Eleonora Duse 20-21 Novembre 2023
Non so perché, ma I giusti di Camus mi ha ricordato il monologo di Cotrone de I giganti della montagna: “Liberata da tutti questi impacci, ecco che l’anima ci resta grande come l’aria, piena di sole o di nuvole, aperta a tutti i lampi, abbandonata a tutti i venti, superflua e misteriosa materia di prodigi che ci solleva e disperde in favolose lontananze”. E ancora: “Guardiamo alla terra, che tristezza! C’è forse qualcuno laggiù che s’illude di star vivendo la nostra vita; ma non è vero. Nessuno di noi è nel corpo che l’altro ci vede; ma nell’anima che parla chi sa da dove… Un corpo è la morte: tenebra e pietra. Guai a chi si vede nel suo corpo e nel suo nome”. Credo che Camus pensasse esattamente a questa leggerezza nello scrivere il dramma dei suoi terroristi: uccidere il Granduca e liberare il popolo russo dalla schiavitù che l’opprime. O meglio: restituirgli l’anima che le catene gli hanno sottratto. In questo senso i personaggi della pièce sono dei giusti: terroristi sì, ma in nome d’un’ideale di libertà. Perché, in fondo, essi sono custodi dell’anima del popolo per cui combattono e della loro. Ma se questo ideale fosse una catena peggiore di quella usata dal despota? Come capirlo? Come evitarlo? Come salvarla, facendola andare d’accordo, ora e in futuro, con l’ideologia? E che accade quando entrano in campo gli affetti, i sentimenti, la tenerezza? Interrogativi che Camus solleva e che Mattia Spedicato nella sua mise-en-scène al teatro Duse ripropone in modo raffinato, magistrale. La sua regia de I giusti ribalta ciò che avviene nel testo: parte, cioè, dal lato umano per arrivare all’ideologia. I personaggi si presentano subito in tutta la loro sensibilità. Sono passionali, ricchi di sentimenti. Puri. Camus non ce li mostra così: ce li fa arrivare pian piano, in crescendo. Mattia Spedicato, nella sua regia, mostra i loro spiriti all’apice di ciò che debbono esprimere. E in tal modo il conflitto fra ideologia-cuore, corpo-anima emerge in tutto il suo essere lacerante. Giovanni Conti (Stepan) è stato eccezionale: severo, rigoroso, sguardo indurito dai patimenti subiti. La sua non è crudezza ma sofferenza tenuta a freno, usata per non inquinare una sensibilità pura e innocente. Come ha reso bene tutto questo travaglio interiore, Conti: con grande misura, meravigliosa consapevolezza mimica e vocale. Il Kaliayev di Edoardo Raiola è stato intenso, romantico, mai smielato, sognante e idealista ma non vacuo, anzi: consapevole e determinato. Tutto ciò è stato reso, scenicamente, con un incedere fermo, mai pesante; e un tono vocale delicato ma ricco di sonorità scure a sottolineare maturità, consapevolezza di sé. Francesca Iasi ha dato alla sua Dora maturità e fierezza: elementi che in Camus mancavano. E Arianna Pozzi è stata un Boris sì maschile, ma tutt’altro che sidereo e distante come nell’originale. Magnifico il monologo finale di Kaliayev: una trovata di regia che, mutatis mutandis, è all’altezza del monologo di Cotrone de I giganti di Pirandello. Pierluigi Pietricola