di Fabrizio De Andrè
con Simone Cristicchi
testi don Andrea Gallo e don Pierluigi Di Piazza
direttore Valter Sivilotti
orchestra Teatro Vittorio Emanuele
Teatro Vittorio Emanuele di Messina dal 06 al 08 maggio 2016
Era il 1970, periodo di piena contestazione, quando Fabrizio De Andrè porgeva uno dei suoi più begli omaggi poetici al mondo, attraverso la rilettura della storia delle storie, "La Buona Novella", album visto da alcuni, per il tema che trattava, come anacronistico, se non addirittura reazionario.
In realtà l'opera ha al centro quello che De Andrè definisce come il più grande rivoluzionario di tutti i tempi. È la rivelazione in musica della bellezza struggente del messaggio di speranza che forse più di tutti ha tracciato un solco nella storia, Dio che si fa uomo.
Ed è proprio sull'umanità di Gesù e dei personaggi che accompagnano la sua vicenda terrena che si focalizza la scrittura del cantautore. A partire dalla lettura dei Vangeli Apocrifi dà vita a delle liriche intessute di tutta la fragilità dell'essere umano.
L'indicibilità del divino rimane per un attimo sullo sfondo, per dare nuovo protagonismo alle emozioni viscerali di padri, madri, figli, nudi di fronte alle ingiurie della vita. Poco importa se si chiamano Giuseppe, Maria, Gesù. Per De Andrè sono terra cocente, una terra che nella profondità senza fine delle proprie ferite ha sì un riflesso divino.
Un'operazione di tale portata è un atto artistico e spirituale al contempo che merita la più ampia diffusione. E pur tuttavia rischia di venire in qualche modo tradito, nella difficoltà di restituirne tutta la costitutiva purezza. Purezza di significati, purezza stilistica.
Rileggere i classici alla luce dei tempi e della nuova sensibilità è tuttavia qualcosa da cui non possiamo esimerci, se non vogliamo rischiare di isolarci in un nostalgico quanto infruttuoso rimpianto di un passato che non tornerà.
Ben vengano quindi le ristilizzazioni di messaggi universali.
Lo spettacolo La Buona Novella, ideato da Valter Sivilotti e Giuseppe Tirelli, portato in scena a Messina da Simone Cristicchi con l'Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele, il Coro Scolastico Maurolico – Verona Trento e il Coro giovanile "I Mirabili" diretto da Dario Pino, rielabora i dipinti sonori di De Andrè, proponendo arrangiamenti originali e inframezzando l'esecuzione dei brani con testi di don Andrea Gallo e don Pierluigi Di Piazza.
L'urgenza di fondo è quella di creare un ponte fra l'attualità e contenuti sviluppati quasi cinquant'anni or sono, ma dal valore intramontabile.
Lo sguardo cristallino di De Andrè verso i ladroni crocifissi accanto a Gesù ("guardate la fine di quel Nazareno, e un ladro non muore di meno" ) viene invocato da Cristicchi per quell'esercito di tossici, poveri, pazzi, disperati, ultimi fra gli ultimi, ai bordi delle nostre strade, nel monologo "A volte ritorno", in cui, non senza punte di ironia, racconta un'ipotetica nuova venuta di Cristo sulla terra, clandestino, tra gli innumerevoli volti non volti che prendono il mare verso le nostre coste.
Questo novello Messia, travolto da un diabolico iter fatto di centri di identificazione ed espulsione, carceri, ritrovi di clochard, si specchia nell'umanità più dolente, "Lazzari che non resusciteranno".
Intorno uomini distratti ed egoisti che non vedono più, Ponzi Pilati iperconnessi, ma soli.
L'anatema di Cristicchi si scaglia deciso contro i mali del nostro tempo, dai signori della guerra, a quelli che inquinano, agli opinionisti da salotto, perché "peccare non significa fare male. Peccare significa non fare bene".
Ma è la musica, forse più delle parole, che rischiano di sfociare in monotoni modi predicatori, a prendere contatto con il senso di umanità dello spettatore.
La traccia de La buona novella, al quale è stata aggiunta solo la canzone "Gesù" cantata da De Andrè prima ancora che l'album fosse inciso, si dipana così secondo l'impianto originario, dal Laudate Dominum, attraverso le indimenticabili pennellate di Maria, ("L'infanzia di Maria", "Il sogno di Maria", "Ave Maria"), icona di tutte le madri, "femmine un giorno e poi madri per sempre", fino al culmine de Il testamento di Tito, i dieci comandamenti rovesciati nell'ottica capovolta, dal basso verso l'alto, di un peccatore per costrizione sociale.
L'arrangiamento musicale dello spettacolo segue un'altra strada rispetto all'originale, in prevalenza caratterizzato da toni intimi e delicati, che il cantare vellutato e profondo di De Andrè ammanta in alcuni casi di vivida tenerezza, preferendo dare spazio a ritmi più sostenuti e atmosfere cariche, a tratti trionfali.
I momenti di maggiore intensità si hanno quando Cristicchi non eccede nell'interpretazione teatrale, per scandire invece, illuminandone tutta la bellezza, la pura poesia dei versi.
Parole come gemme, che ben si accordano con quelle dei suoi testi, cantati prima che cali il sipario: la toccante "Magazzino 18", dedicata agli esuli istriani e dalmati e i successi festivalieri "La prima volta che sono morto" e "Ti regalerò una rosa", testimonianze della spiccata sensibilità e creatività dell'artista romano.
La "puzza di piscio e segatura" dei manicomi, riscattata dall'oblio e dal disprezzo, mediante il rosso di una rosa, rendono chiaro che Cristicchi è la persona giusta per divulgare il messaggio dirompente di De Andrè, aldilà di arrangiamenti, cifre stilistiche e variazioni sul tema, su cui il gusto di ognuno può esprimersi.
"Laudate Hominem" dei cori e dell'orchestra della città dello Stretto, che ben hanno collaborato al progetto, con la sua grandiosità, suggella l'evento, decretando il compimento del messaggio "No, non devo pensarti figlio di Dio ma figlio dell'Uomo, fratello anche mio."
Il pubblica tributa un lungo, caloroso applauso.
Carmen Cicero