Musica Gioachino Rossini
Dramma giocoso in due atti
Libretto di Jacopo Ferretti basato sul libretto francese di Etienne per Cendrillon di Isouard
Prima rappresentazione
Roma, Teatro Valle, 25 gennaio 1817
Direttore Stefano Montanari
Regia Emma Dante
MAESTRO DEL CORO Roberto Gabbiani
SCENE Carmine Maringola
COSTUMI Vanessa Sannino
MOVIMENTI COREOGRAFICI Manuela Lo Sicco
LUCI Cristian Zucaro
PRINCIPALI INTERPRETI
DON RAMIRO Maxim Mironov / Michele Angelini 9, 12 giugno
DANDINI Vito Priante / Filippo Fontana 9, 12 giugno
DON MAGNIFICO Carlo Lepore / Fabio Capitanucci 9, 12 giugno
CLORINDA Rafaela Albuquerque *
TISBE Sara Rocchi *
ANGELINA Teresa Iervolino / Vasilisa Berzhanskaya 9, 12 giugno
ALIDORO Adrian Sâmpetrean / Gabriele Sagona 12 giugno
* dal progetto "Fabbrica" Young Artist Program del Teatro dell'Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell'Opera di Roma
Allestimento Teatro dell'Opera di Roma
Teatro dell'Opera di Roma dal 8 al 13 giugno 2019
Nella regia di Emma Dante la Cenerentola rossiniana somiglia a quei disegni, fatti di soli contorni, approntati per bimbi dalla spiccata creatività: senza colori affinché il fanciullo, rispondendo a criteri ignoti, possa scegliere e applicare le tinte che più gli aggradano.
Dell'opera del musicista pesarese, in questo caso, è rimasta la trama. Ma lo spirito, l'ironia, il sarcasmo, i momenti buffoneschi, l'arcigna compiaciuta e grifagna irrisione: tutto questo è come sparito. O per meglio dire: fa capolino qui e lì in alcuni istanti; ma la sua presenza è così poco incisiva da essere costretto a tornarsene nel suo cantuccio, sovrastato com'è da un alone di malinconia che ammanta l'intera scena.
Perché questa è la prima caratteristica che sorge all'attenzione dello spettatore: per la Dante, La Cenerentola non può – e forse neppure deve – essere opera che diletti il pubblico. La regista ha prediletto una messinscena nella quale è il lato oscuro dell'ironia a prevalere. Sicché quando la protagonista fa il suo ingresso intonando "Una volta c'era un re che a star solo s'annoiò", emergono dolore, rassegnazione, patimento. Sentimenti che non riescono a stemperarsi in una smorfia di tenue allegria neppure grazie alla buffonesca clownerie rappresentata dal manipolo di servi che circondano i personaggi principali dell'opera: tanti golem, pupazzi senz'anima, con alle spalle una grossa chiave che, se girata, consente movenze meccaniche ben programmate ma nulla di più. Perfino Dandini, il servo di Don Ramiro affidato alla discreta interpretazione di Filippo Fontana, più non possiede quei tratti di simpatia, levità, scherzosità, arlecchineria di cui un personaggio siffatto dovrebbe esser dotato.
La chiave di questa Cenerentola, allora, dove cercarla? Forse in un motto caro ad Alberto Savinio: "Il teatro è fantasia". In tal senso, la Dante ha attinto al mondo dei cartoons per applicare la sana regola del principe dei dilettantisti. Il mondo di Don Ramiro rammenta, per gli abiti con cui è vestito, l'onirico regno dei puffi. Mentre il contesto dove vive Cenerentola assieme alle sorellastre e a Don Magnifico, è simile a quello di Topolino. Angelina, con la sua acconciatura e i fiocchi rossi che sorreggono due piccole crocchie ai lati del capo, sembra nulla più di una Minnie indifesa.
Perfino l'esecuzione musicale, affidata a Stefano Montanari, ha ceduto il passo a un quidquid di tenebroso. A recuperare la vivacità di Rossini a poco sono valse le simpatiche ed antiaccademiche movenze del direttore, vagamente rassomiglianti a quelle un tempo compiute, e con ben altro spirito, da Leonard Bernstein.
A spettacolo ultimato vien da chiedersi: questa versione di Cenerentola restituisce lo spirito originario di Rossini? Quel suo volere, ad ogni costo, far divertire il pubblico lasciando in dono un umorismo mai banale e, al contrario, sempre esercitato attraverso metafore sceniche ricche di senso e partiture fatte di maestria pura nell'intessere una nota dietro l'altra?
Pierluigi Pietricola