di Giuseppe Verdi
direzione orchestrale: Zubin Mehta, regia: Luca Ronconi
scene: Margherita Palli, costumi: Carlo Maria Diappi
interpreti: Ruggero Raimondi, Barbara Frittoli, Laura Polverelli, Elena Zilio, Mariola Cantarero, Danill Shtoda, Manuel Lanza, Gianluca Floris, Luigi Roni, Carlo Bosi
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, Teatro del Maggio Musicale 2007
Per Zubin Mehta da trentaquattro anni Firenze è una delle seconde patrie, forse la più importante. Adesso che lui ne compie settanta, il 69° “Maggio Fiorentino” lo ha festeggiato non solo con un concerto, accoppiato a quello inaugurale diretto da Daniele Gatti, ma anche con l’unico spettacolo d’opera rimasto in piedi dopo i tagli ministeriali forsennati: un Falstaff con due punte emergenti, Ruggero Raimondi come sir John e Luca Ronconi regista. Doveva esser festa e festa è stata. Questo Verdi estremo, anomalo e sorprendente, è al tempo stesso opera “da protagonista” e “da direttore”. Raimondi, pur eccedendo un po’ in volume di voce nel primo quadro, ha giocato il resto da par suo.
Da Mehta ci si aspettava una lettura più scavata; non ha fatto mancare qua e là splendide cattiverie, molto ben assecondato dalla brillante orchestra del “Maggio”. A contrasto, certe sfumature hanno rischiato di esser troppo evanescenti; il delizioso movimento d’armonia che avvolge i rintocchi della mezzanotte vorrebbe più chiarezza e meno flou. Lo strepitoso professionismo della bacchetta di Mehta ha fatto sembrar tutto naturale.
In quel tutto avevamo Barbara Frittoli un’Alice lussuosa, Laura Polverelli una solida Meg, Elena Zilio una Quickly di lungo corso (ma perché mai ha cantato “mezzamela” invece di “mezzanotte”?), Mariola Cantarero un’Annetta aurorale, Danill Shtoda un Fenton fresco anche se non incantato, Manuel Lanza un Ford sostanzioso; per la coppia grottesca Pandolfo-Pistola, Gianluca Floris e l’inossidabile Luigi Roni, con Carlo Bosi per il dottor Cajus.
Pretesto ronconiano non molto credibile per un ennesimo spostamento d’epoca, il far risaltar meglio le differenze sociali; nei costumi di Carlo Maria Diappi, le donne in chiffon anni Trenta-Quaranta (ma Hartnell, sarto della regina, aveva ben altro gusto), sir John da bullo di borgata e così via. Nella scenografia di Margherita Palli sorprendente la trasformazione dell’osteria in bosco.
Alfredo Mandelli