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LUCREZIA BORGIA - regia Andrea Bernard

"Lucrezia Borgia", regia Andrea Bernard. Foto Gianfranco Rota "Lucrezia Borgia", regia Andrea Bernard. Foto Gianfranco Rota

Opera seria in un prologo e due atti di Felice Romani
Musica di Gaetano Donizetti
Prima esecuzione Milano Teatro Alla Scala 26 dicembre 1833
Edizione critica di Roger Parker e Rosie Ward, copyr. Casa Ricordi, Milano
Con la collaborazione e il contributo del Comune di Bergamo e della Fondazione Donizetti

Don Alfonso Marko Mimica
Donna Lucrezia Borgia Carmela Remigio
Gennaro Xabier Anduaga
Maffio Orsini Varduhi Abrahamyan
Jeppo Liverotto Manuel Pierattelli
Don Apostolo Gazella Alex Martini
Ascanio Petrucci Roberto Maietta
Oloferno Vitellozzo Daniele Lettieri
Gubetta Rocco Cavalluzzi
Rustighello Edoardo Milletti
Astolfo Federico Benetti
Un usciere Claudio Corradi
Un coppiere Alessandro Yague
La principessa Negroni Francesca Verga
Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Banda di palcoscenico del Conservatorio Gaetano Donizetti di Bergamo
Direttore Carla Delfrate
Maestro del coro Corrado Casati
Regia Andrea Bernard
Scene Alberto Beltrame
Costumi Elena Beccaro
Movimenti coreografici Marta Negrini
Lighting design Marco Alba
Assistente alla regia Tecla Gucci
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo, in coproduzione con la Fondazione Teatri di Reggio Emilia, Fondazione Teatri di Piacenza, la Fondazione Ravenna Manifestazioni e la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Bergamo Teatro Sociale 30 novembre 2019

www.Sipario.it, 3 dicembre 2019

Lucrezia Borgia al Donizetti Opera Festival: da Dark Lady a madre pentita

Una teca, alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, custodisce una ciocca dei suoi capelli biondi; una tomba più che dignitosa nel Monastero del Corpus Domini di Ferrara, che due degli 8 figli sopravvissuti, Isabella e Alessandro d'Este, vollero dedicarle, è testimone della sua umana presenza (1480-1519); una fitta corrispondenza epistolare (1503-1517) con l'umanista Pietro Bembo, legato a lei da una più che affettuosa amicizia, documenta le sue doti di squisita intellettuale, qualità che tutte le donne di corte di quei tempi dovevano saper dimostrare di possedere e padroneggiare. Incombente su di lei il fratello Cesare che la usa come merce di scambio per alleanze politiche tanto da farla sposare neanche 12enne. Il risultato è una vita condotta tra continue gravidanze, aborti e nascite precarie, e matrimoni forzati. Eppure la fama che Lucrezia Borgia si è ritrovata cucita addosso è quella di essere considerata una vampira ammaliatrice con 3 matrimoni alle spalle, dispensatrice di veleni ad amanti e parenti, mandante di omicidi, figlia di cardinale divenuto papa e incestuosa, con figli segreti sottrattigli e mai più visti. E' questo il ritratto che ne fa Victor Hugo nel suo dramma dato a Parigi nel febbraio del 1833 a lei intitolato: un ritratto di donna perversa e immorale. Del resto la tradizione letteraria ottocentesca, con capofila Lord Byron e lo stesso Hugo, ci trasmette una storia della penisola, pur nello splendore delle arti, quanto mai fosca e truce.
La Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti comparve sulle scene del Teatro alla Scala il 26 dicembre 1833. "Tutta immorale ed orrenda", scrisse il censore, capo della polizia di Milano Carlo Giusto Torresani von Lanzenfeld, avanzando perplessità su un libretto quanto mai scabroso per i parametri del tempo che Felice Romani estrasse dal dramma omonimo di Victor Hugo. Accolta con sufficiente attenzione, circolò sotto mentite spoglie diventando di volta in volta Alfonso, duca di Ferrara, Eustorgia da Romano (4 ottobre 1841 al Teatro Comunale di Bologna), Giovanna I di Napoli, Elisa da Fosco, Nizza de Grenade (31 marzo 1842 al Théâtre de Versailles di Parigi), Dalinda, a seconda degli ordini della censura. Ogni tanto ricompare con l'originale intitolazione di Lucrezia Borgia, come al Théâtre Italien di Parigi del 31 ottobre 1840 con varianti introdotte dallo stesso Donizetti. Quello che si è ascoltato a Bergamo nel Teatro Sociale, in questo Festival dei recuperi musicali è la Lucrezia Borgia nell'edizione critica a cura di Roger Parker e Rosie Ward, che opta per la variante del Théâtre Italien di Parigi del 31 ottobre 1840, partendo comunque da quella solitamente eseguita, che debuttò al Teatro alla Scala il 26 dicembre 1833, con un riuscito ibrido tra le due. Opera seria in un prologo e due atti su libretto di Felice Romani, dall'omonima tragedia di Victor Hugo, che ridefinisce (leggasi il prologo al libretto del Romani stesso) in alcuni tratti la protagonista del dramma francese: "difformità morale purificata dalla maternità". E sul tema della maternità inespressa si gioca tutta la regia di Andrea Bernard. Allestimento essenziale a cura Alberto Beltrame incentrato su un elemento mobile che si trasforma in soffitto nobiliare a cassettoni dorato, in muro del palazzo Borgia con tanto di iscrizione contro cui si scatenerà l'ira di Gennaro che trasformerà la scritta con l'abrasione della prima lettera (come da libretto), come in una alcova. Il tutto facendo muovere i personaggi in uno spazio vuoto nero, come neri i costumi stile Rinascimento di Elena Beccaro salvo inserire il contrasto del giallo della veste di Lucrezia e di Gennaro che si disvela nell'ultima scena, contrasti tra bianco e il nero esaltati da un gioco di luci fredde di Marco Alba. Elemento accessorio ricorrente in questa regia le culle vuote e rotte che ci riporta all'idea della regia che vuol fare di Lucrezia Borgia una madre inconsapevolmente colpevole vittima di maternità sottratte e inespresse (almeno 15 furono le sue gravidanze ufficiali di cui solo 8 a buon fine). Il tutto poteva funzionare in scena, se il regista non avesse calcato la mano inserendo alcuni elementi di disturbo, ma che fanno tanto tendenza, e che non aggiungono nulla alla trama o alla comprensibilità dell'azione: quel vago fantasma mezzo nudo che ogni tanto compariva tra le scene di massa, un tentativo di colpi con mazze di golf, quando poi in scena sono portati in mano, segno di autorità, i bastoni armati, i gesti espliciti di libidine sessuale tra maschi, anche se nelle pratiche della cultura rinascimentale, le barriere morali si erano alquanto ridimensionate. Ecco che il rapporto fra Maffio Orsini e Gennaro non è più un rapporto di solidale amicizia, ma si trasforma passione d'amore. Come l'eccesso di violenza in scena e di gestualità che coinvolge gli interventi del Coro del Teatro Municipale di Piacenza, guidato da Corrado Casati, al limite del grottesco quando è costretto, oltre al canto, a gestire azioni che gli fanno perdere la concentrazione come se fossero improvvisati. La rappresentazione dell'ultima replica dell'opera era diretta da Carla Delfrate, a capo dell'Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, in sostituzione di Riccardo Frizza, direttore artistico del Festival e a cui va in capo la gestione musicale delle scelte di programma. E del resto la lettura che ne emerge al di là del cambio di bacchetta è una lettura compatta fondata sulla ricerca di annotazioni timbriche più liriche e scure della scrittura donizettiana dominata da una generale andamento meditativo della musica che si riflettono anche sulla generale interpretazione del canto. Ne risulta la parte di Lucrezia Borgia più indirizzata su una ricerca vocale che enfatizza il versante malinconico della protagonista percependo un certo abbandono delle agilità, che risultano ridimensionate, a favore della ricerca di interpretazione più lirica. Carmela Remigio, al suo debutto in ruolo, è pienamente inserita in questa linea interpretativa, di una Borgia meditativa, meno consona alla ricerca di infiorettature e colorature ottenendo, nel contempo, una approvazione e successo personale, che ha trascinato all'ottima riuscita tutto il cast. Il mezzosoprano franco-armeno Varduhi Abrahamyan delinea un Maffio Orsini che non è più un irruente ragazzino: gestisce bene i momenti in cui si richiede voce pastosa nelle parti alte mostrando qualche problema nella gestione dei suoni gravi che si perdono in un recitato ma capace di esaltare la ballata "Il segreto per esser felici". Al suo fianco, il Gennaro di Xabier Anduaga dimostra una vocalità squillante e generosa, pari al personaggio spavaldo che interpreta, la voce svetta dove è richiesto, ma perdendosi dove si richiede filato e capacità di smorzare i toni. Autorevole vocalmente e in linea nella parte del legittimo consorte spietato e arrogante don Alfonso d'Este, il basso-baritono croato Marko Mimica. Ben riuscite e vocalmente impostate le parti di contorno esemplificate dal Rustighello di Edoardo Milletti, affiancato dal grottesco Gubetta di Rocco Cavalluzzi come dal autoritario l'Astolfo di Federico Benetti, come i quattro amici di Gennaro e Maffio: Jeppo Liverotto (Manuel Pierattelli), Don Apostolo Gazella (Alex Martini), Ascanio Petrucci (Roberto Maietta) e Oloferno Vitellozzo (Daniele Lettieri). Al termine, festanti ovazioni per i protagonisti da parte del folto pubblico con preminenza di presenze francesi con il teatro esaurito in ogni suo ordine. Arrivederci al Donizetti Opera 2020 che, tra le altre proposte, prevede Marino Faliero e La fille du régiment per il ritorno definitivo sulle tavole del restaurato Teatro Donizetti.

Federica Fanizza

Ultima modifica il Martedì, 03 Dicembre 2019 17:14

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