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Opera popolare e da celebrazione (in questo primo centenario della morte di Puccini si alterna con la Turandot in una dozzina di teatri d’Europa) il Lirico di Cagliari ha messo in scena, su 9 serate, questa bella Butterfly. La produzione è quella milanese del 1992, per la regia originale di Keita Asari, gran nome del teatro giapponese, un po’ guastato dalla sua passione per il musical: ha prodotto, o diretto, Il Fantasma dell’Opera, Mamma mia, West Side Story, Evita, Cats...E di questa sua discutibile passione troviamo nella sua Butterfly più di qualche taccia. Che tuttavia non stona, trattandosi di Puccini, che del musical ha a volte le movenze. Cosa diversa, ovviamente, si fosse mai trattato di Schoenberg o di Alban Berg .....L’adattamento per il Lirico di Cagliari di quella ormai antica regia milanese è stato minimale, la Zedda si è limitata a ritoccare i costumi (made in Japan: splendidi) arricchendoli di colori e aggiungendo qualche orpello, ha adattato luci e scene puntando sull’effetto ombra-trasparenza, del resto tipico del teatro giapponese, e ha adattato alla nuova coreografia la configurazione della scena. Tutto ben riuscito. La rinuncia ad una più coraggiosa attualizzazione ha lasciato una impressione di vecchiotto, di vintage, che non guasta. E veniamo ai cantanti. Azzeccatissima la scelta della Zanettin, soprano di scuola veneziana, nel ruolo di Cio Cio San: gran controllo della voce, morbida ma di gran struttura, versatile (compatta e ruvida nei toni bassi e disperati, e  alata negli slanci di gioia) ma di spiccata personalità. E gran controllo del proprio corpo, sensuale e flessibile, da  ballerina, o meglio: da geisha. Quando ha cantato con magia di timbri e controllo assoluto “Un bel di’ vedremo’ ”, la sala e esplosa. Quanto alla Smimmero (Suzuki) - per quanto sia stata bravissima, per carità –  mi chiedo : non sarebbe stata  più adatta una mezzosoprano meno imponente di fisico e voce, tale da non prevaricare su Butterfly? Insomma: più pucciniana?  Ventre è monumentale, per stazza e volumi di voce. Il suo personaggio, Pinkerton, è il soldato ottuso, superficiale, inconsapevole - e doppiamente colpevole - sottoprodotto umano dell’imperialismo americano delle cannoniere. Ma per vibrazioni di voce e gesto gentile, ancorché un pògoffo, data la mole, Ventre è riuscito a infondere un tratto di umanità nel personaggio più detestabile dell’intera opera pucciniana. Gazale è riuscito a rendere con accuratezza il cinismo disincantato e le venature di umanità del console. Infine Goro, una sorta di Leporello orientale, un po’ briccone e un po’ zen, sempre a suo agio. Luci e ombre per l’orchestra. Nel primo atto, a causa dell’eccesso di sonorità, i cantanti erano costretti ad una surplus di voce. Poi qualcuno deve aver fatto notare la fatica al maestro. Lui deve aver capito, e nei restanti due atti è riuscito a moderare lo slancio degli orchestrali. Con sollievo dei cantanti.

Attilio Moro