di Jules Massenet
regia: Nicolas Joël
direzione d’orchestra: Ion Marin
scene e costumi: Ezio Frigerio
interpreti principali: Inva Mula, Massimo Giordano, Fabio Capitanucci, Brigitte Hool, Ketevan Kemoklitze, Anna Maria Popescu
Milano, Teatro alla Scala 2007
Mille rappresentazioni tra la première del 1884 e il 1919 diventano duemila negli anni Cinquanta: è la carriera parigina della Manon di Massenet.
Da noi è diventata popolare nella versione italiana, a sua volta traduzione di quella apprestata dall’autore in alternativa alla versione originaria da opéra-comique con recitativi parlati in mélodrame e orchestra; Sonzogno per la prima italiana al “Carcano” di Milano la stampò in forma abbreviata senza i mélodrames e senza il lungo quadro della festa al Cours-la-Reine, forse anche perché ai soprani lirico-spinti non si addicevano i virtuosismi sopracuti e il regno del contre-ut e del contre-re; la conclusione tratta dal romanzo dell’abbé Prevost si può raccontare anche così. Però riesce meno facile capire come mai il cavaliere Des Grieux sia finito a fare il predicatore il San Sulpizio per cantare “Ah fuyez douce image” (anzi, da noi, “Ah dispar visïon”). La fisionomia dell’opera diviene altra, come per la Carmen; ma questa, non dimentichiamo, conquistò il mondo cantata in italiano dalla Galli-Marié.
Nella prima stagione dopo il cataclisma la Scala ha potuto includere Manon. In giro c’è aria di opera francese, dalla Juive di Halévy a Venezia in apertura di Fenice e, con Massenet, l’incantevole Chérubin (è proprio il Cherubino delle Nozze di Figaro) a Cagliari. Per Manon la Scala, secondo tendenza, ha scelto la versione originaria di Parigi 1884 in francese con mélodrames parlati, però senza il ballo; così viene a mancare la ragione principe della trasferta al Cours-la-Reine dove il souteneur Brétigny regala a Manon “l’Opéra” cioè il suo balletto.
Non è questo il neo maggiore dell’edizione scaligera. Il cast vocale è lodevole pur senza grandezze emozionanti, con Inva Mula protagonista, Massimo Giordano (Des Grieux), Fabio Capitanucci (Lescaut), le tre gigolettes Brigitte Hool, Ketevan Kemoklitze e Anna Maria Popescu, un assieme amalgamato con la regìa già nota, semirealistica di Nicolas Joël, le belle scene e i bei costumi di Ezio Frigerio. Ma la lettura del direttore Ion Marin, anche se molto impegnata, non dà il profumo femminile elegante, carta vincente nel suo successo; l’orchestra spesso è rumorosa, il fraseggio è tirato via e manca quel quid che faccia percepire il contenuto dell’opera. A suo tempo vi eccelsero grandi maestri francesi (Monteux) e italiani (Guarnieri). Manon in qualunque versione è opera più insidiosa di quel che parrebbe; non dimentichiamo che un grandissimo De Sabata non ci si trovò e abbandonò il podio dopo la prova generale. Nel totale gli applausi non sono mancati, anche a scena aperta.
Alfredo Mandelli