Certe partiture riposano per tre secoli senza che nessuno le disturbi, il che induce malevolmente a pensare - qualche volta - che si tratti di testimonianze non imprescindibili e che, in fondo, al di là dell'interesse storico, il riposo si addica loro. Certe partiture, appunto, ma di sicuro non questa «Ottavia ristituita al trono» di Domenico Scarlatti, che è pagina ricca, gradevole e non soltanto degna di essere data in pasto agli studiosi, ma anche e soprattutto a un pubblico appena più smaliziato. Scritta nel 1703, prima opera del figlio di Alessandro, andata in scena con successo al San Bartolomeo di Napoli, l'«Ottavia» è tornata a suscitare consensi convinti domenica scorsa, grazie alla riproposta di Antonio Florio (nella foto) e della Cappella della Pietà de' Turchini, degno suggello di una tre giorni tutta dedicata a Scarlatti (tra il convegno e, dopo, un recital per clavicembalo) nel terzo centenario della morte. Sorprende, soprattutto, la compiutezza di una scrittura dietro la quale, in realtà, c'è la mano di un compositore diciottenne, e non si può non pensare che il poderoso esempio paterno influisca sugli esiti in maniera importante, quanto meno nell'organizzazione teatrale del racconto, scandita con sapiente disinvoltura. Di suo, Domenico Scarlatti ci mette la verve speciale dell'esordiente, sottolineando con scrupolo l'elemento ritmico - così essenziale nella sua vicenda - e impegnandosi nella felice caratterizzazione di tutti i personaggi. A Florio va dato il merito di aver saputo ricostruire - con la complicità preziosa di Alessandro Ciccolini e Carlos Aragon - i tratti dell'opera, partendo da un nucleo di 34 arie e lavorando in team alla scrittura di recitativi, da capo e parti buffe. Il prodotto finale esibisce notevole coerenza nelle atmosfere e ricava vivacità persino inattesa dalla cura spesa nello sbalzare il fraseggio ed i colori orchestrali, in modo generoso e attento, evitando ogni calo di tensione lungo un percorso che supera le due ore e mezza di musica. Perfettamente integrati nella dimensione brillante dell'intero progetto e sorrette con attenzione dal podio, le sette voci soliste trovano ampi spazi protagonistici, sopperendo all'assenza di una regia con un'espressività felice e pertinente. Se il sopranista Paolo Lopez sorprende per lo squillo e il contralto Filippo Mineccia trova timbri suggestivi, conferme gratificanti vengono da Maria Grazia Schiavo, impeccabile e musicale, e da Maria Ercolano, a suo agio tra le insidie di una scrittura irta di virtuosismi. Yolanda Auyanet è una Ottavia energica e ben delineata, Valentina Varriale dona freschezza a Rosilda, Pino De Vittorio, infine, aggiunge fascino teatrale ad una voce originale. Chiesa di Santa Caterina da Siena gremita, per l'occasione, con applausi lunghi e molto calorosi.
Stefano Valanzuolo