musica e libretto: Richard Wagner
direttore: Lorin Maazel
regia: Werner Herzog
scene: Maurizio Balò, costumi: Franz Blumauer, luci: Guido Levi
con Christopher Ventris, Violeta Urmana,
Valencia, Palau de les Artes, dal 25 ottobre al 7 novembre 2008
L' idea conclusiva è un video che mostra il meraviglioso Palau de les Arts di Calatrava trasformarsi in astronave e alzarsi in volo dirigendosi chissà dove. Poiché si tratta del finale di Parsifal, induce a pensare che secondo Werner Herzog, metteur en scène dell' edizione che ha debuttato per l' appunto al Palau de les Arts di Valencia, il significato cui il Gral rimanda è l' arte stessa, è la musica-religione che nel teatro-tempio si celebra, e che i cavalieri del Gral sono gli stessi ascoltatori-fedeli. La soluzione, se poco poco si conoscono le teorie wagneriane - e dell' ultimo Wagner in particolare, quello che scrive il saggio «Religione e Arte» - è suggestiva e plausibile. Nondimeno è sorprendente perché giunge a conclusione di uno spettacolo perfettamente ligio al libretto. Tanto ligio che per la prima volta da anni il Sagrado Grial non è «interpretato» ma raffigurato per quello che è, una coppa; anzi «la» coppa, quella in cui bevvero Cristo e gli Apostoli durante l' Ultima Cena. Siamo a Valencia, perciò la coppa è copia identica di quella custodita nella cattedrale cittadina, perché è proprio lì che transitò la sacra reliquia secondo una versione della leggenda. Spettacolo rigoroso, quello di Herzog. Bellissimo. Il Monsalvat come stazione spaziale di chissà quale pianeta, un gigantesca parabola trasmettitrice (una rosa dei venti?) che scende dall' alto quando si celebra il rito salvifico dell' esposizione del Graal. Stupendo. A Valencia Parsifal inaugura la stagione. È l' ultima con Lorin Maazel direttore musicale e si vede che tiene a lasciare un bel ricordo di sé. Si sa che la purezza del suo talento la esibisce solo quando vuole. Questa volta vuole. E trova un suono pastoso e mediterraneo al contempo. I metronomi sono lunghi ma ne risultano sapientemente supportati. Poche battute e si è subito trasportati in una dimensione altra. E la beatitudine perdura perché tutto funziona a meraviglia: lo spettacolo, come si diceva, ma anche l' eccezionale cast. Stephen Milling (Gurnemanz), Christopher Ventris (Parsifal), Violeta Urmana (Kundry), Evgenij Nikitin (Amfortas) e Serguéi Leiferkus (Klingsor) sono interpreti esemplari per qualità vocali e sceniche. Sanno quel che cantano e calibrano fraseggi, colori, gesti e dinamiche come meglio non si riesce a immaginare. Vibrante e meritato successo.
Enrico Girardi
Eccola, l'opera sciagurata, dispendiosissima, dunque impossibile da programmare - secondo le dichiarazioni del ministro Brunetta - nei teatri italiani in questi tempi magri. Infatti, è in scena a Valencia, nel nuovo Palau de les Arts. Converrà cominciare ad abituarsi e certi titoli amati andarli a vedere, chi può, altrove. Non sarà difficile: Parsifal di Richard Wagner, nella stagione 2008-2009, è in cartellone in 11 città dal Giappone all'Argentina, lasciando stare il resto d'Europa, dov'è sempre di casa. Certo, costicchia: c'è un'orchestra, e anche piuttosto nutrita, considerato che Wagner con gli ottoni non scherzava; e un coro, anzi tre: femminile, maschile, di voci bianche. Perfino dei cantanti, di cui almeno sei meglio se non mediocri. E nonostante l'autore, giunto alla fine della sua vita, avesse seri dubbi sull'efficacia dell'allestimento scenico (pensava a una «scena invisibile») spesso è prevista una regia. E dunque scenografo e costumista, artigiani e tecnici, truccatori e sarti, macchinisti ed elettricisti che provano, montano, smontano, lavorano. Una catastrofe.
Eppure qualche inconsapevole sovrintendente continua a pensare che queste cinque ore di opera d'arte totale e sfonda-bilanci valgano la pena di essere ascoltate, viste, perfino applaudite. Il mondo è ormai vittima di troppi «puri folli». Capita inoltre che il regista chiamato alla dissennata impresa non creda a questa complicata vicenda di cavalieri in rotta storica e morale, di un giovanotto che quando gli chiedono come ti chiami risponde «non lo so», di maghi autoevirati per non cadere in tentazione, di fanciulle fiore più seducenti delle Sirene di Ulisse. No, Werner Herzog a Valencia non segue Wagner nella traiettoria mistica e di redenzione che già fece inorridire Nietzsche. E ambienta la vicenda qualche parte nelle galassie, dove una parabola satellitare gira e gira tentando di captare segnali di vita che non giungono. Usciti da Guerre stellari, i Cavalieri del Graal - la coppa dove si raccolse, dicono, il sangue di Cristo e che è venerata proprio nella Cattedrale di Valencia - sono anche deboli di nervi e non resistono alla vista del cadavere del re Titurel: quando i becchini scoprono la bara, voltano tutti la testa dall'altra parte, con perfetto effetto comico. L'ambiente da Star Trek è accentuato dalle scene di Maurizio Balò che costruisce, per l'incantesimo del Venerdì Santo, un enorme, macchinoso disco spaziale e, nella sequenza finale, inventa una navicella che sparisce lontano, uguale alla sagoma di cetaceo del teatro, disegnato da Calatrava.
Al mistero e al rito del Parsifal non crede neppure Lorin Maazel, che consegna una direzione molto narrativa, troppo sostenuta nei tempi, superficiale già nel preludio, ma è assai professionale nel recuperare certe sbavature della giovane Orquestra de la Comunitat Valenciana, ancora in formazione. Maazel è efficace anche nel rapporto con la scena, dove i protagonisti salvano lo spettacolo: la Kundry di Violeta Urmana è intensamente dolente, e le sue grida sono lame d'acciaio; Stephen Milling offre a Gurnemanz una profonda saggezza; Evgeny Nikitin è un Amfortas in voce ma esteriore e Sergei Leiferkus un Klingsor smargiasso e possente. Aitante e squillante, Christopher Ventris interpreta bene il Parsifal dell'inizio, più distrattamente il trasfigurato eroe del secondo e terz'atto.
Sandro Cappelletto