di Giacomo Puccini
Melodramma in tre atti, libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Direttore: Antonio Pirolli
Regia: Joseph Franconi Lee (da un'idea di Alberto Fassini)
Scene e Costumi: William Orlandi
Disegno Luci: Roberto Venturi
Maestro del Coro: Fabrizio Cassi.
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli
Coro di voci bianche "Vox Juvenes"
Maestro del coro di voci bianche: Emanuela Aymone.
Allestimento scenico Fondazione Teatro Regio di Parma
Floria Tosca Burçin Savigne,
Mario Cavaradossi Rubens Pelizzari,
Il Barone Scarpia Leo An,
Cesare Angelotti Andrea Comelli,
Il sagrestano Giuseppe Esposito,
Spoletta Blagoj Nacoski,
Sciarrone Claudio Mannino,
Un carceriere Rocco Cavalluzzi.
Bari, Teatro Petruzzelli dal 22 giugno al 3 luglio 2019
E' quasi onirico lo spaccato della scena, una dimensione che ricorda le ombre di Scerbanenco e la capacità narrativa di Tolstoj. Luci e ombre, ridondanza di effetti visivi che si specchiano nel fondale laterale del palcoscenico. E come base di azione una grande tavola su cui vi è dipinto il volto della Madonna. Che è poi l'Attavanti. Tosca è un dramma storico, tratto da Victorien Sardou, per Illica e Giacosa il gioco era facile. Soprattutto sarebbe stato possibile creare per Puccini un plot di incredibile efficacia nel quale far confluire, erotismo, eroismo, drammaticità senza redenzione allo stato puro. Joseph Franconi Lee immagina quindi la sua scena per questa Tosca del Petruzzelli, come un divario fra il presente e il passato ma soprattutto la scena serve a narrare la disperazione e la passione. E forse per Puccini che viveva di passioni tutta la sua vita ironicamente salvata da un passato cattolico, scrivere Tosca significa scrivere la prima opera che avrà la dimensione del metaspettacolo. L'idea di Puccini, ancor prima e meglio di Wagner è affine a quello che poi succederà da li a poco fra Londra e Broadway, ovvero la nascita del Musical. Le opere di Puccini come la Tosca hanno in se l'idea di grandezza e gradenza di spettacolo. Di una modernità senza pari. DI una scrittura musicale che apre al futuro come pochissimi altri riusciranno a fare. Pertanto ciò che vede il regista è questo infinito prorogare a se stesso la forza di vivere. Scarpia uno strepitoso Leo An, incarna forse ciò che Puccini maliziosamente pensava della gendarmeria umana. Ovvero di quelle figure fra il potere e la perdizione. Bene in lui è ben calato il ruolo che dovrà essere quello di scavallare le nubi e gli inferi, incarnare in se una insana passione per una donna che Madonna non è come Floria Tosca forte e carismaticamente interpretata da Burcin Savigne. Ed è lì il vero gioco su cui Puccini impianta la sua forma di opera moderna. Cosa c'è di più normale di un uomo di potere che vuole avere a tutti i costi , carnalmente e sessualmente s'intende, una donna che certo Madonna non è? Si può ben comprendere quindi come per quest'opera Puccini avesse preso dalla Boheme ciò che non poteva immaginare, ovvero la grande passione per la vita che però, come spesso succede nella realtà, porta ad infrangersi verso un mondo assolutamente irreale. Ed è qui che il regista vede l'indicibile. Scalinata senza fondo, non si vede il dirupo di Castel Santangelo, penombra forzata, grande oblò in salita della santità ecclesiastica del Te Deum del primo atto. Pochi elementi scenici ma fortissimi per far comprendere al pubblico dove arriverà la sua visione di Tosca. E lo si comprende quando all'entrata di Scarpia, la luce è su di lui bianca sopra tutti, mentre sotto di lui in posa plastica un sottoposto che lo guarda da sotto. Ed è piena di simboli la scrittura di Franconi Lee, non ultimo il coprispalle di Tosca che diventa un passaggio fra vita e morte, fra Scarpia e la passionalità. La porta rossa che si apre e che ci fa immaginare le torture che il povero Cavaradossi, Rubens Pellizzari, deve subire. E poi la Gavotta che irrompe con tanta violenza sulla scena della seduzione e della tortura. Con tanto di bondage. Fra crocifissi, candele e una imperitura luce soffusa, il secondo atto arriva dritto dritto all'unica soluzione possibile del disegno tramato da Illica e Giacosa, ovvero la distruzione umana dei protagonisti. Nessuno si salva, solo Spoletta che però, come si sa, è un servo e da quando è mondo, i servi si salvano sempre. La scena della seduzione del secondo atto è fortissima, l'eterno duello fra Tosca e Scarpia ricorda la partita di scacchi de Il settimo sigillo di Ingmar Bergman. E la frase di Tosca "affoga nel sangue" che equivale a dire"affoga nel tuo peccato". Insomma è una bella partita di vita e gli interpreti di questa Tosca barese sono eccezionali. Altrimenti non si avrebbe neanche la voglia di scriverne e scriverne bene. Il finale è lì sulle scale, luce poca, tanta fioca illuminazione, la voce del pastorello arriva come una preghiera più che uno stornello. Tosca è condannata e anche Cavaradossi lo è. Certamente perché Scarpia non avrebbe mai potuto promettere ciò che per lui era impossibile: la compassione. La marcia che accompagna l'ultimo passaggio, l'ultimo momento di vita di Tosca e di Cavaradossi è impressionante per come Puccini abbia potuto immaginare la dipartita. E non si nasconde nulla. Il dramma è compiuto. La morte direbbero i moralisti, trionfa sulla vita. In verità il motore dell'opera è nell'umana e impossibile passione. Altro che morte. Puccini non può naturalmente da romantico modernista quale era, garantire ai suoi protagonisti una modalità diversa di fine. Ma si sa è teatro. E nel teatro, nella finzione scenica è spesso possibile comprendere la difficoltà della realtà. Così come faceva Puccini immaginando il suo teatro di vita fra l'amore e l'amaro. Fra l'infinitamente grande e il desiderio di essere assolutamente piccolo. Bravissimo Antonio Pirolli, preciso e deciso, senza sbavature direttoriali, con eleganza e polso della conduzione. Per non parlare dell'Orchestra del Petruzzelli, dal suono nitido e drammatico, quasi indispensabili in tempi in qui le orchestre di teatri più blasonati non arrivano all'intensità di questa giovane compagine. Bene il coro del teatro diretto da Fabrizio Cassi, così come quello di voci bianche diretto da Emanuela Aymone. Così come eran belle le scene e i costumi immaginati da William Orlandi per non parlare dell'idea di luci disegnate da Roberto Venturi. Un plauso anche al resto del cast.
Marco Ranaldi