di John Buchan
Adattamento di Patrick Barlow
Regia di Maria Aitken
Scena di Ludovico Riario Sforza
Costumi di Tony Gonzales
Disegno Luci di Stefano Pirandello
Con Nini Salerno, Roberto Ciufoli, Barbara Terrinoni, Manuel Casella.
Produzione: La 39 s.r.l. e Grande Profilo s.r.l. 2009
I 39 scalini (The thirty-nine steps) è uno dei più bei film del periodo inglese di Hitchcock. E’ una spy-story del 1935 in cui una donna viene accoltellata e nel cui delitto viene coinvolto casualmente un giovanotto che non c’entra nulla. Il suo continuo fuggire da un luogo all’altro dell’Inghilterra si protrarrà sino a quando non verranno catturati i veri colpevoli. Il titolo dell’opera allude ad una pericolosa setta di stampo nazista capitanata da un feroce professore senza scrupoli. Il thriller scritto da John Buchan, adattato da Patrick Barlow e messo in scena con ritmi frenetici da Maria Aitken, è stato accolto con entusiasmo e molti applausi dal pubblico del Vittorio Emanuele, in particolare da quel nutrito gruppo di sordi che tramite l’interpretariato di quattro donne-interpreti che s’avvicendavano in un lato del proscenio, hanno potuto capire e gioire, col solo movimento delle mani, di tutte le battute che gli attori pronunciavano sul palcoscenico. Certamente non era facile che solo quattro attori, Nini Salerno, Roberto Ciufoli, Barbara Terrinoni e Manuel Casella, potessero calarsi in un paio d’ore almeno in una decina di personaggi ciascuno, ma visti gli esiti felici, li si può annoverare nel parentado dei vari Fregoli e Brachetti. Come del resto non era facile che in un battibaleno si potessero spostare le varie location dell’azione, creando con quelle luci viola o rosa-fucsia le atmosfere più sinistre, movimentando l’azione quando entrava in scena un lampione acceso o una porta fornita di stipite o quando tra fumogeni e rumori di treni i bagagli diventavano sedili d’uno scompartimento o della stazione di Edinburgo e quattro sedie uno sgabello e uno sterzo potevano tramutarsi in una comoda macchina a quattro posti e una lunga striscia di lenzuolo bianco poteva ben rappresentare un fiumiciattolo: raggiungendo lo spettacolo il massimo del non-sense e dell’ironia quando sul palchetto della scena di Ludovico Riario Sforza ( i costumi erano di Tony Gonzales e il disegno luci di Stefano Pirandello) veniva ucciso a colpi di pistola il capo della setta segreta e spirando Ciufoli diceva che moriva per mano d’un quinto attore non contemplato nel cast.
Gigi Giacobbe