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ALPENSTOCK - regia Angelo Savelli

“Alpenstock”, regia Angelo Savelli “Alpenstock”, regia Angelo Savelli

di Rémi De Vos
traduzione Antonella Questa
regia Angelo Savelli
con Antonella Questa, Ciro Masella, Fulvio Cauteruccio
Firenze, Teatro di Rifredi, dal 4 all'8 aprile 2018

www.Sipario.it, 18 aprile 2018

La recitazione è volutamente artificiosa. La gestualità iperbolica. E ben si addicono a un testo che, attingendo a certi stereotipi culturali, fa della caricatura corrosiva la sua chiave interpretativa. Una leggerezza di scrittura che arriva a comunicare più di ogni altro canonico registro drammaturgico. Alpenstock, del francese Rémi De Vos, atto unico in undici scene scritto nel 2005, ha un'attualità tematica ficcante che non conosce l'usura del tempo. Anzi, ne sottolinea i risvolti mai sopiti. A metterlo in scena è la rinomata compagnia Pupi e Fresedde del Teatro di Rifredi con la regia di Angelo Savelli e la traduzione di Antonella Questa, messinscena che evidenzia, ulteriormente, l'attenzione che la compagnia fiorentina continua a rivolgere alla drammaturgia contemporanea e ad autori da noi poco conosciuti. De Vos potrebbe rientrare in quegli autori "politicamente scorretti", per la sua attitudine a trattare scottanti argomenti sociali e politici attraverso il filtro dell'umorismo e del sarcasmo. L'argomento della pièce riguarda le fobie e la psicosi dell'invasione dello straniero, del "diverso", dell'immigrato. Protagonista di Alpenstock è una coppia inossidabile, Fritz e Grete, capace, si direbbe, di resistere a qualsiasi avversità. Ingrediente fondamentale è il loro amore, dichiarato, sdolcinato. Lui la chiama "patatina", lei "topino". Abitano in una casa anch'essa perfetta, pulitissima, che la moglie, con aspirapolvere, straccio e spolverino sempre alla mano, tiene ossessivamente in ordine combattendo quotidianamente contro il pulviscolo che s'insinua giornalmente in ogni angolo. Lui, di ritorno dall'ufficio dove con orgoglio e passione timbra carte e formulari, elogia quell'ordine e profumo che lo fanno sentire bene e fortunato per aver sposato una così perfetta donna semplice, tutta dedita alla casa e a lui devota. Perfetto è anche il loro habitat geografico: un'accogliente località alpina, il Kyrolo, della quale campeggia sulla parete della ordinatissima stanza con al centro un lindo divano, un grande quadro raffigurante le Alpi. Insomma un quadretto famigliare, ribadiamo, perfetto. La pulizia, l'ordine, il silenzio sono le parole ricorrenti che il marito ripete e proclama con crescente impeto quali elementi fondamentali di un paese «... culturalmente radicato nelle proprie tradizioni nazionali», che vanno difese, e per il quale bisogna «lottare contro la contaminazione delle tradizioni straniere improprie ai nostri criteri nazionali». A rompere il favolistico menage è un banale e inconsulto atto della moglie, gravissimo agli occhi di Fritz: l'aver comprato un detergente al mercato cosmopolita. Un affronto e una macchia che sporca il loro inappuntabile matrimonio, minacciato dall'intrusione di un corpo estraneo, diverso: un detergente, appunto, contagiato dalla vendita di una mano straniera. Da qui in avanti si sgretolerà quel loro mondo adamantino finora difeso da tutto ciò che poteva contaminarlo. Esageratamente contagioso è Yosip Karageorgevitch Assanachu, un uomo rozzo d'improbabile nazionalità «balcano-carpato-transilvana», il quale, trovando la porta aperta, irrompe improvvisamente in casa mentre la donna è sola. Alle iniziali paure e diffidenze subentrerà una accondiscendenza sessuale alla quale lei darà sfogo senza alcuna inibizione verso quel «pedante zoticone». L'arrivo improvviso del marito che la coglierà in flagrante adulterio e il suo repentino pentimento culminerà nell'uccisione dell'immigrato di cui vedremo il corpo-manichino deposto a terra. La scena si ripeterà più volte poiché sbucheranno successivamente dei cugini dell'uomo perfettamente somiglianti al primo. E ogni volta Fritz li sopprimerà usando, in un carosello di esposizione oggettistica, le armi più disparate: dall'ascia al lanciafiamme, dalla Luger nazista alla frusta chiodata, dalla mannaia da macellaio alla siringa velenosa, dalla sedia elettrica al bazooka. Insomma, rotti gli equilibri famigliari la nuova situazione farà emergere in Fritz quel covato lato fascista della sua personalità, che è la sua vera natura; e di Grete, superata la sottomissione al marito, la sua insoddisfazione di donna repressa. Tutte le scene esilaranti e le battute al vetriolo dai doppi sensi che si susseguono nella commedia, smontano quel mondo ottuso di luoghi comuni sulla purezza della razza da preservare e da difendere da quelli che Fritz chiama «elementi contro-natura», colpevoli di aver ridotto il mondo a «una pattumiera». Inframezzata da canzoni popolari, musiche tzigane e dal famoso yodel tirolese, la messinscena di Savelli, grazie ai bravissimi interpreti Ciro Masella, Antonella Questa e Fulvio Cauteruccio, è di folgorante nitidezza, col suo ritmo veloce impresso alle scene e ai personaggi caricaturali, e alle fulminanti battute che non lasciano il tempo di pensare. Se non alla fine, quando, dopo aver riso molto per quella comicità corrosiva e surreale, ci ritroviamo con un senso di orrore e di raccapricciante verità. Quella dei nostri tempi, dove il «germe del male» sembra alimentarsi indisturbato nella quotidianità.

Giuseppe Distefano

Ultima modifica il Venerdì, 20 Aprile 2018 09:55

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