di Francis Veber
adattamento Tullio Solenghi e Maurizio Micheli
Con Tullio Solenghi, Maurizio Micheli, Massimiliano Borghesi, Sandra Cavallini, Paolo Gattini, Adriano Giraldi, Fulvia Lorenzetti, Matteo Micheli, Enzo Saturni
Scene Alessandro Chiti, Costumi Andrea Stanisci, Musiche Massimiliano Forza, Arrangiamenti Fabio Valdemarin.
Regia Tullio Solenghi. Prod. La Contrada e Teatro Stabile di Trieste
Roma, Sala Umberto dal 19 febbraio al 3 marzo 2013
Spiccatamente dotato di "nessuna qualità" (nemmeno il fascino svuotato, esitante del personaggio inventato da Musil), François Pignon lavora da frustrato contabile per un'azienda di produzioni derivanti dal caucciù: quindi di profilattici d'ogni tipo, colore e 'sapore'
La sfortuna si materializza senza preamboli sotto forma di licenziamento (in tronco), presto abbinata al divorzio dalla bella moglie (di cui è innamorato perso e devoto) e alla disistima che, senza troppi scrupoli, gli dedica il figlio adolescente e acerbamente spietato. Che l'idea di farla finita cominci a brulicare nell'animo di François è più che plausibile.
Caso vuole, tuttavia, che un suo vicino di casa, capita l'antifona, faccia di tutto per ridestare in Pignon l'interesse alla vita (il 'sale della curiosità e del desiderio'), innescando una serie di buffi eventi che cambieranno totalmente lo stato delle cose. Stratagemma imbattibile? Fingersi gay, affinchè la dirigenza aziendale non proceda al licenziamento per paura di scadere nel mobbing e aggregare, in difensiva, le associazioni omosessuali.
L'idea, audace ma plausibile, deflagra su tutti i fronti e ribalta il destino dell'oscuro impiegato : in ufficio, nella società, nella vita privata, trasformandolo da minimo travet ad acclamata icona dei movimenti di liberazione sessuale (e trasversale) : con tutte le conseguenze del caso decisamente ilari almeno sul piano del vaudeville, della pochade, della 'perenne' commedia degli equivoci (che condiziona la vita di noi tutti, spesso in modo doloroso anziché farsesco)
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Noto ai più per l'edizione cinematografica del 2002, "L'apparenza inganna", e la relativa struttura commedistica di Francis Vever, pagano pegno alla imbattibile lezione di Neil Simon (la grande stagione delle pièce americane anni cinquanta) applicata ad uno schema di flemme e nevrosi tipicamente europee, liddove la vacuità degli 'ambienti' (che determinano i nostri destini) subentrano all'efficientismo frettoloso, nevrastenico del vecchio calco americano.
Dopo il successo dei già collaudati "Il rompiballe" e "La cena dei cretini", si ha la sensazione (positiva) che "L'apparenza inganna" aderisca in misura persuasiva alle trame di una realtà che –pur paradossale- può riguardare 'l'uomo qualunque' ed in modo spesso irreversibile. Dando, di conseguenza, tanta modulazione e uso di silenziatore ad un genere di comicità , ad una vocazione esilarante (si pensi a "Il vizietto", a "La strana coppia") che è qui contenuta entro i limiti della sobrietà recitativa e di una sorta di taglio cinematografico basato sulla frammentarietà del racconto e sul montaggio ad incastro delle traversie a lieto fine.
Angelo Pizzuto