due tempi di Paolo Poli
liberamente tratti da Giovanni Pascoli
con Fabrizio Casagrande, Daniele Corsetti,
Alberto Gamberini, Giovanni Siniscalco
scene Emanuele Luzzati, costumi Santuzza Calì, musiche Jacqueline Perrotin, coreografie Claudia Lawrence
regia Paolo Poli
Teatro Elfo Puccini, Milano dal 18 dicembre 2012 al 13 gennaio 2013
Onirico, visionario, gentile, delicato, elegante nell'architettura del gesto. Esotico nella sua accezione di strano; estraniante, lapidario nelle movenze, nei gesti, nelle parole, nei canti, nei balli, nelle poesie; affabulatorio, comico, grottesco: en travesti. Mai volgare; sempre elegante, anche nei gestacci, quelli più scurrili, così come dev'essere quando si conoscono tutti i registri linguistici dell'arte teatrale.
Compare in gabbia, Paolo Paoli all'inizio dello spettacolo: un oiseau dans une cage pour le dire, en frananglaise. Perché, questo spettacolo è in grado di stare in piedi ben eretto sulla scena internazionale; un campionario d'arte teatrale di ciò che è stato il teatro di parola italiano rivisitato attraverso la libera elaborazione artistica di uno dei più grandi attori della scena teatrale italiana, dove la libera improvvisazione di fronte ad un pubblico, sempre diverso, come di consueto non cede di un passo di fronte al rigore e ad il genio che fanno di questo artista uno dei più grandi, se non il più grande mattatore en ensemble del nostro e dello scorso secolo. Internazionale, perché il genio plastico di Paolo Poli plasma la materia letteraria in arte attorica con le sue maschere, i suoi balli, le sue canzoni, i costumi, le maschere, la satira, l'umorismo, la feroce ironia e tutto il suo ambaradam che contraddistingue il suo apparato scenico che non conosce i confini delimitanti di ogni Paese, al di là della lingua, al di là della forma e al di qua di ciò che è proprio del medium teatrale: la scena.
La visione di Poli e dei suoi attori, il suo ed il loro essere si mette in mostra sulla scena a contatto con il suo ed il loro immaginario in rapporto al testo da recitare: una poesia, una canzone che diventano metafora del nostro passato e della nostra esistenza tra corsi e ricorsi storici che scandiscono da sempre il nostro divenire sociale. Ecco, perché, è mattatore come padrone assoluto dello spettacolo. Nel senso più positivo del termine, il fulcro dell'orizzonte offerto alla nostra visione che diviene, così, per noi, in un solo istante, la satira storica fra lazzi e intrallazzi del costume di qualche generazione invecchiata a ridosso della banalità dell'essere.
Poli e i suoi attori sputano, così, in faccia al pubblico con leggerezza tutte quelle poesie che hanno scandito il tempo della nostra adolescenza sui banchi di scuola tra gioco ed irriverenza e che, per una manciata di minuti, ci restituiscono per intero tra etica, politica e, sociologia, nella loro musicalità e nel loro sentimento, il contesto di un epoca intera. E levando, così, nel cielo Aquiloni, Paolo Poli ci dice, Io vivo, altrove.
Cinzia Viscomi