Regia: Alvis Hermanis
Interprete: Mikhail Baryshnikov
Scenografo: Kristīne Jurjāne
Light designer: Gleb Filshtinsky
Sound: Ołegs Novikovs
Operatore luci: Lauris Johansons
Video Ineta Sipunova
Tecnici di palcoscenico, sottotitoli: Andris Skotelis, Kārlis Staņa
Stage manager: Linda Zaharova
Tour manager: Elīna Adamaite
Realizzatore dei costumi: Deanna Berg MacLean
Musica: Jim Wilson God's Chorus of Crickets, Kārlis Tone
Effetti pirotecnici disegnati da International Fireworks Design
in lingua originale (russo), con sopratitoli in italiano
traduzione dei sopratitoli a cura di Matteo Campagnoli
coproduzione The New Riga Theatre e Baryshnikov Productions
general management Baryshnikov Productions, Huong Hoang
le tappe italiane del tour sono organizzate da Antonio Gnecchi Ruscone
Baryshnikov Productions e The New Riga Theatre ringraziano Emanuela Barilla
basato sulle poesie di Joseph Brodsky
copyright © 2015, The Estate of Joseph Brodsky
prima rappresentazione assoluta: Riga, The New Riga Theatre, 15 ottobre 2015
Venezia, Gran Teatro La Fenice. 13-14-15 luglio 2018
I tre spettacoli al Teatro La Fenice di Venezia sono dedicati alla memoria di NH Girolamo Marcello
Venezia, venerdì 13 luglio 2018. Dell'inusuale (almeno per la stagione) acqua alta introdottasi nella notte in Piazza San Marco si sono già perse le tracce. Soffia lo scirocco fra le calli di Venezia, e nella magica città in cui la percezione del tempo risponde a regole sue proprie, il perdurare silenzioso e inesorabile del passato non smette di assicurare alla presente memoria il ricordo della bellezza della Serenissima, glorioso seppur intriso di un'aura talora decadente. È l'antivigilia della festa del Redentore e a Venezia, fra le frotte dei turisti che assaltano la città, già si vedono fremere alcuni preparativi.
Si suole dire che il novilunio sia il momento migliore per dedicarsi allo studio e per lasciare al pensiero i tempi e i modi di una proficua riflessione. Si tratta, forse, di una pura coincidenza astronomica questa che ha accompagnato al Gran Teatro La Fenice la rappresentazione dello spettacolo Brodsky/Baryshnikov, chiaro omaggio a Joseph Brodskij (anglicizzato Brodsky), il poeta russo Premio Nobel per la Letteratura (1987) che nelle atmosfere veneziane ha vissuto e tratto ispirazione per le sue composizioni e che ora riposa al cimitero di San Michele insieme, fra gli altri celebri, all'impresario teatrale Diaghilev e al compositore Stravinskij. Per la prima volta in scena al The New Riga Theatre il 15 ottobre 2015 per la regia di Alvis Hermanis, lo spettacolo alla Fenice ha chiuso la tournée italiana 2018, dopo le rappresentazioni al Teatro Politeama in occasione del Napoli Teatro Festival (28-29 giugno) e al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino (3-4-5 luglio).
Un finemente decorato giardino d'inverno in stile art nouveau occupa lo spazio scenico. S'intravvede muoversi una figura maschile, vestita in semplice giacca gilet e pantaloni e con in mano una valigia. Con sicura tranquillità viene a sedersi sulla panchina antistante il padiglione, dove estrae dalla valigia alcuni oggetti, fra cui una sveglia, una bottiglia, un asciugamano. Comincia così a sfogliare un libro, a riflettere e a dar voce a quelle parole. È Mikhail Baryshnikov, artista cui non servono presentazioni, e le parole sono alcuni sparsi versi fra i molti incisivi composti da Joseph Brodskij, il caro amico incontrato ad una cena a New York nel 1974 – l'uno appena fuggito dall'URSS, l'altro forzosamente espulso due anni prima con l'accusa di essere un "parassita sociale" –, l'amico col quale si confidava ogni giorno (o almeno ogni settimana) e che mai dimenticò di rivolgergli gli auguri per un felice compleanno, nemmeno quel 27 gennaio 1996 a poche ore dalla sua morte.
Scanditi da giochi di luce e da alcuni cortocircuiti elettrici sull'esterno della struttura architettonica, Baryshnikov – "Misha" per gli amici ma "Mysh" [topo] solo per Brodskij – si fa trasmettitore nella voce e nei gesti dei significati di quelle poesie, interrotto talora da un registratore, che in modo del tutto autonomo prende vita e di Brodskij riproduce la voce. «Le sue poesie sono intellettuali quanto istintive, e una parte dell'immaginario in cui sono inscritte si potrebbe trasmettere col linguaggio del corpo. Ho tentato di esprimerne i significati non solo per via orale ma anche cineticamente», ha affermato Baryshnikov (trad. di Carlo Vitali). Il risultato artistico va ben oltre la pura declamazione, tanto che si è presto tentati di rinunziare a quel disturbo, inevitabile per il pubblico non madrelingua, di scindere l'attenzione fra la magnetica performance verbale e gestuale di Baryshnikov e la ricercata comprensione dei versi, tradotti in italiano e proiettati sulla parte superiore del padiglione. Tale perdita si muta però in opportunità per lo spettatore, poiché gli consente di instaurare una sorta di "comunione" diretta con la sensibilità sonora e melodica dei versi del poeta, un'affinità artistica ed umana più incisiva di quanto possa esprimere la mediazione di una traduzione.
Il principio oraziano ut pictura poesis può dunque, in un certo senso, essere esteso alla danza, poiché, richiamando liberamente il detto del lirico greco Simonide di Ceo, si può dire che anche questa, proprio come la pittura, è una poesia muta. Una poesia muta nelle parole, ma di intensa comunicatività, quella espressa nel corso dello spettacolo dalla danza di Baryshnikov, che al chiuso del giardino d'inverno, al di là di opachi vetri e di elementi strutturali dai quali resta in parte celato, accenna a gestualità ispirate al kabuki, al flamenco e agli stilemi del teatro giapponese butoh, nonché alla scultura greca antica. Intravedere questi suoi semplici movimenti, calibrati e resi intensi dal suo riconosciuto carisma, aumenta la dimensione poetica dello spettacolo, accentuandone i toni evocativi. Non stupisce l'inclinazione dell'artista alla sperimentazione, già manifesta nell'impegno profuso a dar vita al "White Oak Dance Project", compagnia fondata nel 1990 insieme a Mark Morris e di cui è stato direttore, e al "Baryshnikov Arts Center" a New York.
La realtà narrata e danzata da Baryshnikov parla del complesso mondo di Brodskij, parla il linguaggio della noia, della paura, della morte, inclina alla nostalgia e lascia spazio a elementi di speranza, parla di epoche lontane e attuali, parla del vissuto interiore del poeta, comunica "semplicemente" l'umano dell'essere umano. Nell'emergere di questo sostrato emotivo è difficile non intravedere l'influenza dell'amata Venezia, con i suoi fasti, colori e voci diurni, la poetica riservatezza notturna e la solitudine delle gondole; Venezia, proiezione della natia San Pietroburgo; Venezia, cui egli dedica Fondamenta degli incurabili, città della bellezza esiliata, città nella quale si avvera il dialogo fra i ricordi, ma che è al contempo simbolo di opportunità e rinascita per un uomo che non smette di rivolgere l'invito a percorrere con coraggio il cammino dell'esistenza. «Egli divenne per me una specie di "bussola morale"», ha dichiarato Baryshnikov, che con Brodskij condivide anche l'amore per Venezia, concretizzatosi nel 2013-2014 nell'esposizione fotografica Dance this Way alla Galleria d'arte Contini, dedicata ad una serie di scatti nei quali è impresso l'intimo dinamismo orchestico così familiare al danzatore.
Quanto alla sensibilità di Baryshnikov per performances di elevato spessore culturale il pubblico potrà certo ricordare il successo riscosso nel 2015 da Letter to a man, spettacolo ideato e diretto da Robert Wilson, tratto dai Diari del genio innovatore della danza Vaslav Nijinsky, che in Italia debuttò al Festival di Spoleto. In Brodsky/Baryshnikov andato in scena alla Fenice il pensiero del poeta, quasi cullato dal calmo moto ondoso delle acque veneziane, rivive nella sua umanità grazie a Mikhail Baryshnikov, che conferma la levatura di artista poliedrico, poetico "danzattore" dalla fine ed intelligente sensibilità, generoso interprete di un'Arte senza barriere di settore che con coraggio risponde unicamente al criterio della bellezza.
Selene I.S. Brumana