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CASELLANTE (IL) - regia Giuseppe Dipasquale

"Il casellante", regia Giuseppe Dipasquale. Foto Antonio Parrinello "Il casellante", regia Giuseppe Dipasquale. Foto Antonio Parrinello

di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale
regia e scene: Giuseppe Dipasquale
con Moni Ovadia, Valeria Contadino, Mario Incudine, Sergio Seminara, Giampaolo Romania e i musicisti Antonio Vasta e Antonio Putzu
musiche originali: Mario Incudine con la collaborazione di Antonio Vasta
costumi: Elisa Savi
luci: Gianni Grasso
ingegnere del suono: Ferdinando Di Marco
produzione: Produzione Promo Music - Corvino Produzioni, Centro d'Arte Contemporanea Teatro Carcano e Comune di Caltanissetta
Milano, Teatro Carcano dal 25 gennaio al 5 febbraio 2017
Genova, Teatro Duse, dal 28 febbraio al 5 marzo 2017

www.Sipario.it, 7 marzo 2017
www.Sipario.it, 5 febbraio 2017

Il siciliano letterario e le atmosfere nate dalla penna di Andrea Camilleri non potevano trovare interpreti migliori degli attori e dei musicisti diretti da Moni Ovadia. Il casellante, portato in scena al Teatro Duse di Genova e basato sul racconto omonimo dello scrittore siciliano, è uno spettacolo di grande ritmo, capace di mescolare recitazione e canzone popolare in maniera armonica e vitale. Se la scenografia è tanto essenziale quanto simbolica nell'allestire lo sfondo di uno scorcio di vita della Sicilia degli anni'40, il testo portato in scena dagli attori è ricco di sfumature e intensità. Ovadia, colonna portante dello spettacolo in cui interpreta più ruoli, offre una recitazione apprezzabile per l'alternanza di più registri. Ovadia è convincente nel rendere, spesso cambiando costume a vista, una gamma di personaggi diversi per carattere e fisico. Non solo sull'azione e le parole di Ovadia si regge però lo spettacolo. In effetti egli ha in Mario Incudine e in Valeria Contadino due elementi di forza emotiva travolgente. Nino e Minica sono una coppia innamorata e genuina, che nel corso della rappresentazione finiscono per essere l'emblema della purezza del sentimento. I due attori, quando la disgrazia si abbatte sui loro personaggi, offrono un'interpretazione di grande commozione. In questo caso va sottolineata la bravura della Contadino, che tocca elevate vette di recitazione nel ricordo della violenza subita e della perdita del figlio tanto desiderato e nella follia che ne consegue. Sono l'amore e il dramma, la comicità e la tragedia – fino al riscatto finale – i sentimenti protagonisti dello spettacolo. Gli attori in scena sembrano trasmutarsi in queste eterne passioni umane. Ogni elemento dello spettacolo è mirabile e non cede in qualità a nessun altro. La recitazione, che includeva la sfida di portare in scena il siciliano letterario di Camilleri, le canzoni, che sono frutto di una rigorosa ricerca etno-musicale da parte di Mario Incudine, e tutti gli altri aspetti visivi concorrono a creare nell'uditorio una profonda partecipazione emotiva. Esempio ne è la straordinaria parentesi di cunto, espressione di narrazione popolare siciliana, che Mario Incudine propone nel racconto della vendetta di Nino nei confronti di Michele Barrafato, autore della violenza che provoca la morte del piccolo nel grembo della moglie Minica. Il connubio del testo di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale e l'attenta regia teatrale di quest'ultimo realizzano dunque in scena uno spettacolo di grande forza e ritmo. A coinvolgere il pubblico è la capacità di fusione di un teatro che sa essere letterario e nel contempo popolare, perché le sue radici traggono linfa vitale da una letteratura tanto distintiva quanto universale nell'indagare l'aspetto primo del sentimento umano.

Gabriele Benelli

Tratto da Il Casellante, romanzo edito da Sellerio nel 2008, di Andrea Camilleri (Porto Empedocle/AG 1925) - scrittore, sceneggiatore e regista noto al pubblico per la fortunatissima serie di romanzi (trasposti anche in televisione) dedicati al Commissario Montalbano - che essendo aduso dalla giovinezza a servirsi dei treni vi adombra il suo sogno di possedere la casa di un casellante per la quiete che connotava tali luoghi.

Adattato al teatro da Giuseppe Dipasquale, regista e scenografo, Il Casellante è ambientato a Vigàta - città immaginaria, forse la stessa natia Porto Empedocle, dove si svolgono molti dei racconti di Camilleri - e ha come tema una tentata metamorfosi riprendendo il 'ciclo mitologico' iniziato con Maruzza Musumeci (la donna che si trasforma in sirena) e chiuso da Il Sonaglio tanto che Il Casellante inizia dove termina Maruzza e cioè nella Sicilia del 1942 quando l'Italia sotto il regime fascista, irriso con sapiente eleganza, è in guerra e pochi mesi prima dello sbarco americano.

Protagonista della vicenda Nino Zarcuto che per una menomazione dovuta a un incidente sul lavoro ottiene di sorvegliare un casello ferroviario sulla linea Vigàta -Castelvetrano, percorsa su un binario unico da un trenino a vapore a tre carrozze, e può dedicarsi alla famiglia appena costruita con Minica e continuare a suonare il mandolino insieme all'amico Totò, esperto chitarrista, la domenica presso il miglior barbiere del paese divertendo i frequentatori con le loro canzoni non senza trovarsi a essere 'utili' a un 'uomo d'onore' che chiede loro aiuto per dirimere una questioncella.

Il dramma pubblico della guerra con le incursioni aeree e la costruzione di bunker per arginare il temuto sbarco s'interseca con le tragiche disgrazie personali (di Nino) che vedono tra le altre la moglie finalmente incinta vittima di una terribile e gratuita violenza con una sequela di conseguenze che ricordano i dolori vissuti da Luigi Pirandello, altro grande siciliano della nostra letteratura, il quale tuttavia non risolve i suoi problemi con l'aiuto della mafia che qui attraversa come una sottile, solida e quasi rassicurante rete il racconto.

Splendido il riportare alla luce scorci paesani e popolari del passato: la pièce, una riduzione costruita come un melologo, è frutto del sincretismo tra la musicalità del siciliano vigatese e la grande e antica tradizione delle serenate e della musica da barberia: le botteghe dei barbieri, infatti, mediavano lavori teatrali, cantate d'opera... che trasmettevano al popolo impossibilitato a recarsi a vederli a teatro e comunque desideroso di venirne a conoscenza.

Tra i fulcri di questa affascinante ricostruzione Moni Ovadia (Plovdiv/Bulgaria 1946) - poliedrico attore, drammaturgo e cantante di famiglia di ascendenza ebraico-sefardita stabilitasi in ambiente di cultura yiddish e mitteleuropea, impegnato nel recupero e rielaborazione della cultura degli Ebrei dell'Europa orientale - che trasferitosi a Milano, dove si laurea e svolge la sua carriera sempre attivo politicamente e civilmente per la pace e per i diritti, si rivela persona di notevole cultura e duttilità e dal fascino chiaro e penetrante di chi non ha paura di dire ciò che pensa.

Interprete disinvolto, spigliato e ironico di ben sei ruoli - svolgendo, come ha detto scherzosamente in conferenza stampa, un importante ruolo economico - dal più tragico al più divertente tra cui quello di alter ego di Camilleri, si è innamorato di questa società connotata da arcaismi e modernità e conosciuta tramite lo scrittore 'vigatese' con cui è nato un simpatico sodalizio: Ovadia è entrato nella contraddittoria, articolata e varia cultura siciliana con l'umiltà di chi ha sete di sapere e conoscere.

Uno spettacolo vivace e gradevolissimo dal ritmo serrato in virtù anche degli altri attori siciliani validissimi nel rendere le microsfumature emozionali dei diversi personaggi, di una straordinaria musica in cui è possibile riconoscere le numerose componenti e di una scenografia sapientemente curata come il carrello-triciclo, simbolo del mondo dei binari, o la metamorfosi vegetale di Minica cui il destino riserva una benefica sorpresa.

Wanda Castelnuovo

Ultima modifica il Martedì, 07 Marzo 2017 20:32

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