di Gabriel Garcia Márquez
regia: Alessandro D'Alatri
scene: Alessandro Chiti
costumi: Carolina Olcese
con Maria Rosaria Omaggio
Milano, Piccolo Teatro, Teatro Grassi, 13 settembre 2007
Garcia Marquez scivola nell' ovvio
Unico testo per il teatro scritto da Gabriel Garcia Marquez nel 1987 Diatriba d' amore contro un uomo seduto (ora al Quirino d Roma) è un monologo baroccheggiante che si perde in fumose volute di parole. Centro di tanto parlare è la crisi di una coppia, è lo sfogarsi disperato di una donna che nel giorno della festa per le nozze d' argento, trova la forza di urlare al marito silente la sua frustrazione, la sua infelicità per un rapporto nato dall' amore e diventato territorio dell' indifferenza. Un tema sviluppato in modo drammaturgicamente scontato, intrappolato in didascalie e guizzi letterari che sul palcoscenico suonano stentorei come la recitazione di Maria Rosaria Omaggio che offre un' interpretazione senza sfumature, generosa ma modesta, guidata dalla regia di Alessandro D' Alatri che non trova la strada per sostenere il testo: cambi d' abito della protagonista, nevicate su una città da cartolina, un orchestrina che suona allegra o malinconica, tutto come da copione: il sapore dell' ovvietà.
Magda Poli
Nell'Olimpo letterario abbondano i casi di narratori e poeti vittime del fascino del palcoscenico. La possibilità di vedere sul palco le ombre evocate dalla scrittura è una tentazione cui non si sono sottratti Virginia Woolf, Landolfi e Céline, Thomas Mann e Hermann Hesse tanto per citare alcuni grandi della parola del ventesimo secolo. A cui si aggiunge Gabriel Garcia Marquez che ha scritto nell'88 questa Diatriba d'amore contro un uomo seduto che ora, grazie alla coraggiosa iniziativa di Maria Rosaria Omaggio, studiosa e interprete dell'opera di Márquez, è approdata in Italia.
Si tratta di un'opera singolare e complessa che travalica lo status del monologo, nonostante sia concepita ad uso e consumo di una straordinaria presenza femminile, voce solista e testimone di uno scontro tra l'antica civiltà contadina da cui proviene e l'inesorabile diktat dell'alta borghesia cui Graciela, è questo il suo nome, approda dopo il matrimonio col rampollo di una dynasty che domina un immaginario paese sudamericano. La notte delle nozze d'argento, Graciela si rivolta contro l'uomo della sua vita che ora, sparuta figura incastrata su un sedile col giornale spalancato davanti, finge di non ascoltare il torrente d'accuse che la donna gli vomita addosso. In una lingua dosata tra il vernacolo e la parlata sofisticata dell'upper class, Graciela come il più ispirato dei cantastorie evoca l'amore perduto. Quando, per evadere dalla costrizione materna, nuotava di notte come una sirena per raggiungere l'amato. Quando, per favorire la riconciliazione tra il marito e la famiglia d'origine, si recò a trovare la terribile suocera che, imbellettata come una damina giapponese, la attendeva in giardino fino all'epicedio finale concluso nel fuoco che divora il marito tutt'uno alla desolazione della sposa tradita che crolla a terra come una marionetta tra i languidi accordi delle chitarre.
Una scheggia di gran teatro a cui la Omaggio, in un momento di splendida maturità, conferisce un tono tra pudico e straziato che si incide a lungo nella memoria.
Enrico Groppali