di e con Filippo Timi
e con Umberto Petranca, Alexandre Styker, Marina Rocco, Elena Lietti, Lucia Mascino, Roberto Laureri, Matteo De Blasio, Fulvio Accogli
costumi Fabio Zambernardi, regista assistente Fabio Cherstich, luci Gigi Saccomandi, suono Beppe Pellicciari,
regia e scena Filippo Timi
produzione Teatro Franco Parenti
visto al Ponchielli di Cremona, il 27 febbraio 2015
Barocco, pop, gayissimo, eccessivo eppure credibile, vero in ogni suo gesto, in ogni sberleffo, nei giochi di parole, come nell'inanellare citazioni operistiche, negli strepitosi e coloratissimi costumi di Miu Miu: questo è Il Don Giovanni di Filippo Timi, un incontinente seduttivo – il personaggio – e teatrale, l'attore, un animale da palcoscenico che non ha eguali che è più naturale e credibile tanto maggiormente punta sull'eccesso, sull'ironico, sull'impossibile. E' tanto vero questo che il 'nostro' Timi-Don Giovanni stigmatizza la sua incontinenza seduttiva scendendo in platea e chiedendo: «chi posso baciare?» ed è un alzarsi di signore e signorine, uno sbracciarsi di disponibilità... Il Don Giovanni di Timi è anche questo, è gioco e favola, è provocazione, ma soprattutto intelligenza: un mix di linguaggi in cui il Don Giovanni molieriano e quello mozartiano s'intrecciano, in cui le apparenti divagazioni pop sono divagazioni che poi riportano alla natura diabolica della figura dongiovannea, ribadendo l'assunto Da Ponte-Mozart: «Chi son io non saprai!». La vicenda del seduttore e burlador si apre e si ricompone in continuazione ed è un piacere perdersi in apparenti virtuosismi e giochi che alla fine dicono di un Don Giovanni alle prese con se stesso, alle prese con la sua fragilità di uomo, consapevole che alla fine la lotta, la guerra impari che ciascuno di noi combatte è quella con la propria morte. Ed è questa inafferrabilità del mito e della maschera che attraversa tutto il sontuoso allestimento. In una stanza boudoir si svolge tutta l'azione, pareti dorate e imbottite, un fondale che cita il Veronese. Don Giovanni è un bambino che seduto su un water dorato denuncia la sua incredulità nel confronto di Dio facendo la cacca, è il fanciullo abusato che sfida la morte, è appetito sessuale, ma anche carne per donne. E' l'oltraggio all'amore vero, a Donna Elvira di rosso vestita con fallico coltello (Lucina Mascino), piuttosto che a Donna Anna, paraplegica miracolata dalla morte del padre Commendatore che cerca vendetta (Elena Lietti) col suo marito bamboccio (Matteo de Blasio). Strepitosa è Zerlina di Marina Rocco, la contadinella impalmata da Don Giovanni e inutilmente difesa da Masetto (Roberto Laureri); l'amore coniugale irriso su un cappotto di fiori. Le conquiste sono una distrazione, sembra suggerire Filippo Timi, c'è di più, c'è il rapporto con Leporello (Umberto Petranca), servo ma anche colui a cui l'impenitente seduttore e sfacciato bugiardo affida la sua storia e 'forse' il suo amore; nelle letture di Don Giovanni c'è anche quella omosex. Così anche la condanna di Don Giovanni a bruciare nelle fiamme dell'inferno, avvolto in un mantello rosso luccicante, è condanna di quelle donne che ha sedotto e oltraggiato e che lo spingono all'inferno, è l'esito di una superbia, un peccato di tracotanza che vede trionfare il diavolo, il biondo Ludovico, servo di Donna Elvira (Alexandre Styker), figura di Apollo psicopompo nella prima parte dello spettacolo, quando accompagna nell'oltretomba il Commendatore (Fulvio Accogli). Al fianco del diavolo, un Cristo in carrozzina, una religiosità azzoppata che non dà risposte, non consola, è favola... In tutto questo Filippo Timi e la sua compagnia mostrano una forza espressiva, un affiatamento che rendono tutto credibile e incredibile allo stesso tempo, recitano, frequentano gli eccessi, si mostrano nudi e simulano amplessi con elegante sfrontatezza. In quanto accade in scena non ci sono un gesto, un tono fuori registro, tutto si tiene, tutto vive di una coerenza perfetta e trascinante che diverte la pancia, appaga l'occhio e stuzzica il cervello.
Nicola Arrigoni