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FILAX ANGHELOS (ANGELO CUSTODE) - regia Renato Sarti

"Filax Anghelos", testo e regia Renato Sarti "Filax Anghelos", testo e regia Renato Sarti

testo e regia Renato Sarti

con Massimiliano Loizzi  

scene e costumi Carlo Sala 

musiche Carlo Boccadoro

produzione Teatro della Cooperativa

Testo segnalato al XLI Premio Riccione 

con il sostegno di Regione Lombardia e Fondazione Cariplo – Progetto NEXT 2016/2017

Prima Nazionale

Milano, Teatro Filodrammatici dal 10 al 15 aprile 2018

www.Sipario.it, 12 aprile 2018

UT UNUM SINT

La schizofrenia del protagonista, in una dimensione metateatrale, rappresenta la condizione archetipica dell'attore, è il felice spunto del Sarti drammaturgo, che, attraverso il racconto impietoso di una psicosi, ci parla della storia del nostro Paese, dal dopoguerra all'oggi. Viene proposta allo spettatore una (im)morality play il cui l'interprete incarna contemporaneamente l'everyman e l'everywoman. La ricomposizione, in forma psicopatologica, dell'essere androgino, evocato nel Simposio di Platone, ne conserva tutta la struggente descrizione, nell'abbraccio e nell'incontro impossibile di due anime in un unico essere. L'uomo/donna alienato nella società contemporanea si fa cosa fragile (solo le ombre dell'inconscio sono cosa salda), e sdoppia la sua identità nel perverso tentativo di bastare a se stesso, ma si manca puntualmente, in un gioco di sdoppiamento, che diventa fatalmente al massacro. Nessuna conciliante sintesi di hegeliana memoria si consuma in questo travaglio del contrario, l'ideologia paga il suo debito con Freud, e la psicologia contemporanea. L'urgenza del dire, del fonetizzare di Filax ed Anghelos, due personalità intrappolate in un unico corpo, ha tutto il sapore del monologo torrenziale, ipertrofico, circolare, del Lucky beckettiano, il quale non abbisogna più di un cappello che faccia da detonatore al suo eloquio. Nella società massmediologica vige l'implacabile loquor ergo sum, e non c'è più un silenzio che dia requie a tutte le involontarie, contemporanee parodie di Amleto. Angela, la parte femminile, nata prematura durante un bombardamento, figlia dunque del boom, nel suo duplice significato bellico ed economico, cerca una maternità per poi negarla tragicamente in un manicomio dove, per paradosso, troverà le parole più lucide, ispirate, illuminate da aforismi icastici, distruttivi, apparentabili con il provocatorio nichilismo di Cioran. Una donna, dunque, che, dopo aver messo al mondo al mondo, vorrebbe farlo esplodere in un tragicomico attentato dinamitardo in una cattedrale di cartapesta. Filax, la parte maschile, è la pars destruens del racconto, l'ineffabile controparte razionale, in realtà talmente razionale da travalicare i confini della follia. Quest'ultimo mette sotto processo, in un sofisticato gioco metadrammaturgico, la biografia raccontata prima da Angela. Il racconto giudica se stesso, si strappa a viva forza la zampa rimasta chiusa nella tagliola dei significati, e si reiventa in nuove modalità, che cambiano volutamente la segnaletica interpretativa del testo. Attraverso questo gioco di capovolgimento, Sarti fa idealmente tesoro del consiglio di Hemingway: "scrivi da ubriaco, correggi da sobrio". Ad un primo tempo dionisiaco, femminile, dove una Medea terzostatista grida e vendica il suo dolore allo spettro di Basaglia, fa seguito un secondo apollineo, revisionista, misurato, destinato ad esplodere contro se stesso, in una tragica auto-violenza finale, dove il braccio di questo dottor Stranamore si avventa contro il proprio corpo, l'ingovernabilità abbraccia fatalmente la dimensione psichica. Menzione d'onore per l'attore Massimiliano Loizzi, che attraversa, con l'esercizio ed il sudore del maratoneta, il lungo monologo, e non si risparmia, offrendoci una recitazione di pancia, in grado di bucare la quarta parete, e di arrivare al cuore dello spettatore. I suoi sono fonemi materici, l'impasto vocale s'aggruma e s'addensa in un suono che batte disperatamente sul petto dell'attenta platea. La scenografia gioca con se stessa e sulla sua autentica natura, e si ossifica nello scorcio povero, costruito con una serie di objet trouvé, di una cattedrale reinventata, che è, forse, un magazzino, o meglio un luogo mentale, campo di battaglia ideale per questa grottesca, ed al contempo tragica, psicomachia. Funziona a pieno regime la macchina per il fumo, che produce per tutto lo spettacolo il fumus persecutionis in cui un io irrimediabilmente spezzato si perde, e si cerca disperatamente nella nebbia impenetrabile che circonda questo castello di Elsinore, dato in subaffitto a tormenti postmoderni. Il potere ha trovato una nuova formulazione del divide et impera, ora la guerra non è più rinfocolata tra uomo e uomo, bensì all'interno di una singola coscienza, il plusvalore diviene perciò la sanità mentale.

Danilo Caravà

Ultima modifica il Venerdì, 13 Aprile 2018 08:55

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