da Anton Čechov
Massimo Ranieri
con
Caterina Vertova, Pino Tufillaro, Federica Stefanelli,
Martina Grilli, Francesco Jacopo Provenzano
musiche Harmonia Team
disegno luci Maurizio Fabretti
scene e costumi Uberto Bertacca
adattamento e regia Giancarlo Sepe
personaggi e interpreti
Il figlio Massimo Ranieri
Irina Arcàdina Caterina Vertova
Boris Trigòrin Pino Tufillaro
Nina Federica Stefanelli
Mascia Martina Grilli
Kostja Francesco Jacopo Provenzano
Teatro Diana Rama 2000
Teatro Quirino Vittorio Gassman dal 19 al 31 marzo 2019
Quando si pone mano alla scrittura di un testo – letterario o teatrale che sia – vien da chiedersi: a chi appartiene? Certuni risponderanno: all'autore. Altri: a chi ne godrà. Di chi la ragione? Di quest'ultimi, ovviamente. Un autore traduce in parole emozioni, idee e pensieri che altri – lettori o pubblico ch'essi siano – dovranno saper interpretare, portandoli al massimo compimento. È di costoro la paternità dell'opera. Quando l'autore mette la parola fine, ciò che ha scritto non gli appartiene più. Pierluigi Pietricola
Di tutto questo, nella versione del Gabbiano in scena al Quirino e con protagonista un istrionico Massimo Ranieri, non vi è traccia. Più precisamente, la riduzione di Giancarlo Sepe dell'opera di Cechov dovrebbe intitolarsi Intorno al Gabbiano. Perché l'idea dello spettacolo – come si evince dalle note di regia – prende spunto dal tentativo dello scrittore russo di capire la ragioni dell'insuccesso dell'opera al suo debutto. E a tale scopo, egli ricorre ad un amico critico musicale francese, tale Marcel, il quale leggendo Il gabbiano, lo interpreta e lo glossa dando vita ad una messinscena, "un'emanazione spontanea (di) parole che diventano battute del testo e frasi di canzoni meravigliose di cui lui solo – Marcel – ne possiede il segreto interpretativo". Un piccolo miracolo che toccherà il cuore di Cechov, facendogli provare le stesse sensazioni ed emozioni avute in fase di scrittura della pièce.
Il gabbiano, come è noto, è ricco di spunti autobiografici del suo autore. Ed è proprio quest'aspetto ad interessare Sepe. Al punto da mettere in scena un protagonista chiamato genericamente "Il figlio", interpretato da Ranieri, al quale si presentano, rammentando inevitabilmente Pirandello, i personaggi principali della commedia. Che con loro interloquirà, prendendo in prestito le battute della pièce od usando parole proprie. Il tutto avviene nel mentre Il gabbiano si svolge, seppur per via essenziale.
Chi è il personaggio impersonato da Ranieri? Uno e nessuno e centomila. A momenti è Cechov, in altri il critico musicale Marcel, in altri ancora è Treplëv. Così facendo, Sepe vuol mostrare al pubblico la perfetta identità fra la vita dell'artista e la sua opera, inscenando sia Il gabbiano che quanto accaduto all'autore prima e dopo la scrittura della pièce.
Pur apprezzando le doti istrioniche di Ranieri, che nello spettacolo canta e recita con un eccesso di presenza fisica che in molti punti – eccetto sul finale – tende a soffocare l'aspetto psicologico della recitazione, e non dimenticando la discreta interpretazione di Caterina Vertova nei panni di Irina Arcàdina, viene da domandarsi: uno spettacolo siffatto cosa ci vuol dire? Dov'è il suo elemento teatrale? E dove sono Il gabbiano e il suo autore?
I tratti dell'insieme risultano, infine, un po' fumosi e confusi. Tuttavia ne emerge uno spettacolo piacevole, che si lascia guardare e a suo modo apprezzare ma che – a ben riflettere – somiglia più ad uno studio che ad un lavoro teatrale vero e proprio.