di Fabrizio Sinisi
regia Gabriele Russo
con Andrea Di Casa e Federica Rosellini
scene Lucia Imperato
costumi Chiara Aversano
luci Cesare Agoni
effetti sonori Alessio Foglia
produzione Centro Teatrale Bresciano, con il contributo di Fondazione Cariplo - Progetto Dramatos,
Teatro Mina Mezzadri, marzo 5 marzo 2018
Nel riferire di Guerra santa di Fabrizio Sinisi urge una doppia lettura: una che dia conto del contesto e l'altra del testo/spettacolo. Con contesto si intende la coraggiosa e interessante proposta che il Centro Teatrale Bresciano ha fatto a Fabrizio Sinisi: diventare dramaturg dello stabile. E così dopo il lavoro di riscrittura di Jekill, Guerra santa vuole essere il primo tassello di una trilogia che ha come finalità indagare il rapporto fra padri e figli nella contemporaneità. In questo contesto la nuova produzione del Ctb si appezza in particolar modo per il suo valore programmatico, perché concretizza una concezione del fare teatro e del produrre teatro che chiede agli artisti di lavorare in loco, di produrre su idee condivise e che possano tradurre la forza rilevante e disvelante del teatro come convocazione di comunità intorno alla parola incarnata dall'attore. E non sarà un caso che il testo di Sinisi abbia vinto il Premio Testori, ovvero il premio intitolato a quell'autore che nella seconda metà del Novecento individuò nella parola poetica che si fa carne una cifra estetica precisa. Nicola Arrigoni
Detto questo, Guerra santa risente – paradossalmente – del passo breve della cronaca e dell'inciampo della retorica. Fabrizio Sinisi ci presenta Leila, giovane orfana, che incontra un uomo che chiama padre e che si scopre essere un sacerdote che l'ha cresciuta in orfanotrofio. Lelia è tornata dal padre, dopo sette anni e dopo essere fuggita per arruolarsi nelle fila del terrorismo islamico con il suo migliore amico, anche lui cresciuto sotto l'ala protettiva del sacerdote. Il confronto fra la ragazza e il religioso è un confronto duro, fatto di stilettate verbali, in cui il rimosso e il non detto emergono come giustificazioni di atti terroristici, come bombe rimaste inesplose. Il testo di Sinisi procede con fare incalzante, mette in campo tante, troppe situazioni, concedendosi a una verbosità a tratti autoreferenziale e un po' ridondante. In realtà i due personaggi non dialogano, ma monologano, in un flusso di parole che mischia terrorismo e sensi di colpa, amore cercato e silenzi ingombranti, piccole gelosie e grandi utopie.
La regia di Gabriele Russo e le scene di Lucia Imperato danno a questo confronto poetico un contesto scenico e di azione di estrema concretezza che connota troppo e vuole troppo descrivere: quelle macerie di una sorta di capannone bombardato portano in uno spazio fortemente connotato ma al tempo stesso distante dal tono e ritmo del testo. I due attori Andrea Di Casa e Federica Rosellini gestiscono come possono un flusso di parole che chiama in causa la rabbia giovanile, l'ispirazione religiosa prestata al sangue terroristico, il rapporto con il sacerdote e la gelosia di Lelia nei confronti di quel compagno di orfanotrofio, il preferito del padre, fattosi esplodere in nome di un Dio conosciuto per protesta e voglia di assoluto. Tutto questo accade in scena con monologante e retorico dirsi, in un inanellarsi di immagini, concetti che abbracciano un mondo e finiscono col frequentare – forse inconsapevolmente – stereotipi. Guerra santa di Sinisi è un primo passo, forse un inciampo, che comunque non deve precludere e non preclude la bontà dell'operazione messa in atto dal Ctb, ovvero pensare ad un dramaturg stabile con cui costruire un'idea drammaturgica e autorale che caratterizzi lo stabile bresciano e sappia trasformare in azione agita e pensata le parole della contemporaneità.