di Gianfranco Jannuzzo e Angelo Callipo
regia: Pino Quartullo
con Gianfranco Jannuzzo
Milano, Teatro Manzoni, dal 1 dicembre 2009 al 3 gennaio 2010
Rieccolo Gianfranco Jannuzzo, talento da vendere, 360 gradi di simpatia, sulla ribalta (vi starà per un mese) ormai a lui familiare del teatro di via Manzoni. Occorre dire? E’ forse, e senza togliere nulla a Fiorello, siciliano Doc come lui, l’esuberante e intelligente Jannuzzo, lo showman più bravo di tutti. Grazie a quel feeling capace di tener desta e interessata una platea amica quanto è lunga una serata. E la riprova con questo «Girgenti, amore mio» scritto a quattro mani con Angelo Callipo (l`amico Pino Quartullo a far da regista discreto e a inquadrare fra vecchie rovine di templi) dove Jannuzzo non va più pellegrino curioso su giù per la penisola, esprimendosi in cento dialletti diversi, ma si concentra questa volta, pur con qualche strappo al copione cosa che però non disturba, soltanto sulla sua Sicilia, terra del sole e della luce, isola delle mille processioni e della favole più belle. Il suo un atto sincero d`amore, e qualcosa di più. Per la sua terra. Il suo, come lui stesso afferma, un modo appassionato di dialogare con le sue radici, per restituirle agli altri. Radici conficcate in quella mitica Agrigento, che lui preferisce chiamare con il suo nome antico, Girgenti, più dolce ed evocativo, incrocio o fulcro magico in cui passa ogni sua emozione e sono tante. Emozioni che ci trasmette filtrandole attraverso la creazione di una moltitudine di personaggi, figure vere o improbabili, ognuna disegnata con originalità, caratterizzata magistralmente, con quei tic divertentissimi e amarissimi a un tempo, con quel trasformismo che del resto è una delle sue caratteristiche. Lungo è il viaggio di Jannuzzo, viaggio che diventa metaforico.viaggio che ci riporta indietro nel tempo, quello della sua infanzia, e che ci fa incontrare l’oggi. Viaggio dove nulla è trascurato. Tutto della sua cara Sicilia e più ancora della "cara Girgenti" viene evocato. Compresa la processione di quel santo di colore nero, san Calogero, che della città non è li patrono e però il simbolo più forte e amato. Ed è una della pagine più belle di questo monologo in cui l`attore agrigentino, figlio anche lui di Empedocle, di Annibale, di lnm Zafer, di Ruggero e di Federico e di tanti altri illustri personaggi che hanno arricchito di sapienza la Sicilia, anche non può non fare a mano di dialogare, e qui Jannuzzo diventa lirico e rivela un suo volto nuovo che ci colpisce, con quel mare «vastità che si estende fino all`orizzonte» che non solo circonda la sua isola ma ne é parte integrale, ne è anch’esso l`anima. E volano come ali di gabbiano le sue parole che, pronunciate con una musicalità che ci sorprende, fanno sentire di questo mare «le profondità enormi, abissali nel tempo e nello spazio, che lasciano inebetiti, ma generano incanto, meraviglia, stupore».
Domenico Rigotti
Il luogo comune è una malattia dello spirito che molto assomiglia al pregiudizio. Solo, tra i «ruderi» della sua Agrigento, Gianfranco Jannuzzo in «Girgenti amore mio», scritto dallo stesso Jannuzzo con Angelo Callipo, intrattiene per più di due ore il pubblico giocando, appunto, su i luoghi comuni di una sicilianità che molto somiglia ai vezzi e ai vizi comportamentali di tutti gli italiani. E lo fa, la regia sobria è di Pino Quartullo, con la bravura e l`entusiasmo di sempre, ironico e autoironico, in un susseguirsi storie e di personaggi che sembrano a volte avvicinarsi alla Commedia dell`Arte, maschere di un passato che non è mai fuori dal tempo. Gioca sulla diversità di dialetti e cadenze che cambiano a pochi chilometri di distanza, al sud come al Nord, su una religiosità da festa popolare, su i gravi problemi che attanagliano la Sicilia quali l`acqua che si vede, si paga, ma non c`è, come il lavoro. Sfiora la nostalgia, lo struggimento per un tramonto o un panorama che hanno il sapore della vita. La simpatia è il motore dei suo monologare in un rincorrersi di figurine dai volti antichi e anonimi della sua Girgenti, il vecchio nome di Agrigento, e si palesa il ritratto di un Paese anch`esso dai molti volti, dai più cupi e amari ai più solari e divertiti, dal quale spesso si .scappa «per non vederne l`opaco».
Magda Poli