di Thomas Bernhard
traduzione di Roberto Menin
uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
con Ferdinando Bruni, Ida Marinelli, Corinna Agustoni, Luca Toracca
Milano, Teatro dell'Elfo, dal 25 marzo al 20 aprile 2008
Un padre semicieco e categoricamente ubriaco; una figlia cantante lirica, mozartiana Regina della notte alla millesima replica; un'efficiente serva di scena, nei panni di sarta o di ristoratrice. E poi c'è l' intellettuale, il causidico Dottore che mescola paradossi sull'arte o l'esistenza umana alla minuziosa descrizione di un'autopsia, come se il bisturi della ragione potesse davvero trovare fra quei tessuti morti il senso o il nonsenso della vita. L'ignorante e il folle di Thomas Bernhard, in scena fino al 20 aprile all'Elfo di Milano, è un virtuosistico Moto perpetuo paganiniano, un Sesto brandeburghese sul tema cruciale dell'autore austriaco: «l'impossibilità di dire la verità e (o) l'incapacità di superare l'esistenza umana». Tra un palco di teatro e la luce d'acquario d'un dopoteatro al ristorante, la regia di Ferdinando Bruni (maieutico nel ruolo del Dottore) focalizza nei trilli canarini della cantante lirica (l'ottima Ida Marinelli), nelle colorature vocali che la Regina della notte inframmezza a dialoghi sui massimi sistemi e i minimi termini, quella prodigiosa forma di distrazione da noi stessi e dal nostro destino che ci illude così spesso di vivere.
Roberto Barbolini
Scritta per il Festival di Salisburgo del 1972, L'ignorante e il folle è la seconda pièce creata da Thomas Bernhard e trova il proprio tema nel teatro, mirando ad analizzare certi aspetti dell'opera da lui più amata, Il flauto magico, e ad attaccarne il culto. Ne è infatti protagonista la Regina della notte, o meglio un "soprano di coloratura" che a interpretarne la figura ha dedicato la sua vita, riducendosi a un automa, schiava delle tournée nei templi della lirica, un oggetto da mettere in mostra, un simbolo condizionato dalle ferree regole del palcoscenico, ormai ignara di ogni idea creativa dell'arte. Ad analizzarne e metterne in discussione la figura, contesi tra l'entusiasmo e l'ansia distruttiva si alternano un padre ignorante e semicieco, che idolatra la cantante senza nome e vive del suo canto, e un professore di medicina, che non smette di cospargere le analisi mozartiane con appassionate dissertazioni sui diversi tipi di autopsia.
Ora è questa immagine nevrotica, portata al successo da Bruno Ganz, a porsi al centro dello spettacolo che Ferdinando Bruni ha allestito, insieme a Francesco Frongia, per Teatridithalia, interpretandone anche con esaltato sarcasmo la parte col gusto dell'artista che parla di se stesso in parallelismo con il vero oggetto vittima del discorso, ovvero Ida Marinelli, che si raddoppia vivendo le angosce e i fremiti dell'artista prima dell'andata in scena e ci offre pure qualche istante di canto simulato per poi bollarlo con le sue ansie esistenziali. E a fungere da padre, truccato da cieco, c'è Luca Toracca, nelle due scene con lampadario che segnano i due atti: un camerino dallo sfondo rosso per le ansie che precedono la recita e la tavola di un noto ristorante viennese per la dissezione verbale da operare davanti a vetrate da acquario per enormi granchi. Una ricostruzione in cui l'ansia critica dell'autore si specchia nell'ansia dell'interprete, cosciente di parlare prima di tutto di se stesso.
Franco Quadri
Cominciamo dalla fine, da quel buio assoluto che è l'inizio di un nuovo sentire, libero da ogni distrazione visiva. O, forse, è semplicemente follia, la follia di vivere. Un giusto finale, con tanto di catastrofe sonora, per cento minuti di parole, ossessive e spiazzanti, spesso geniali.
L'ignorante e il folle di Thomas Bernhard (1931-1989) è un testo assolutamente affascinante, claustrofobico e perfetto nella sua circolarità. Un testo che, come il suo autore, non strizza l'occhio allo spettatore, anzi spesso lo insulta e lo dileggia, ma che punta dritto, come una lama, al cervello. Ed è con gli occhi della mente che lo si apprezza.
Un plauso, quindi, a Teatridithalia per aver avuto l'oculatezza (e il coraggio) di proporre, in prima nazionale, questa nuova e splendida versione al pubblico milanese. E un plauso, doppio, ai suoi interpreti: da Ida Marinelli, glaciale e fragile "regina della notte", a Luca Toracca, "ignorante" quanto basta, nel ruolo del padre della cantante e a Corinna Augustoni, nella doppia veste di costumista e cameriera. Ma, soprattutto, un plauso (triplo? ma forse qualcosa di più...) a Ferdinando Bruni, straodinario mattatore della parola, che sul filo della "follia", incanta e seduce nel ruolo del dottore che, al debutto della pièce, al Festival di Salisburgo del 1972, fu nientemeno che di un certo Bruno Ganz. E di attori di tale calibro c'è bisogno per testi di questo spessore nei quali poco o nulla accade (o forse accade tutto, ma "vedendolo" con gli occhi della mente), e solo una grande prova interpretativa può far risaltare nella loro grandezza.
Due atti, nel primo siamo nel camerino di un teatro. Il rosso delle tende e dei fiori è incombente e soffocante, falso e opprimente. Sta per andare in scena il Flauto Magico di Mozart. In sottofondo già si sente l'Ouverture ma la cantante, la "regina della notte", ancora non è arrivata. Il padre, semicieco e semialcolizzato, soffre per questo angosciante ritardo che si rinnova e si prolunga ad ogni replica. Con lui c'è il dottore che alterna una minuziosa descrizione di un'autopsia a disquisizioni sul senso dell'arte e del genio. Arriva la cantante con il suo carico di dubbi e di ossessioni, con i suoi gesti meccanici ma carichi di panico.
Nel secondo atto siamo in un celebre ristorante viennese, l'opera si è conclusa con il "solito" trionfo della "regina della coloritura", ma non è festa. Anzi. Prosegue la dissezione minuziosa del cadavere, così come quella, in "punta di forchetta", della vita stessa. E si apre lo spiraglio liberatorio del "mandare a monte una rappresentazione...battere le mani...tirare fuori la lingua e poi uscire di scena con una risata". E in sala cala il buio (occhi della mente o follia?) su parole che non lasciano il posto al silenzio, estremo tentativo di "distrarci" dal nostro esistere.
Luca Vido
È amara la filosofia di Thomas Bernhard, la sua ideologia di uno smisurato nichilismo, di un cinismo carico di sarcasmo. E però lo scrittore tedesco continua ad affascinare i teatranti certo anche per la sua raffinatezza linguistica . Come prova questo L'ignorante e il folle ( quasi sconosciuto in Italia ) da Teatridithalia messo al centro della produzione di quest'anno. All'Elfo con la regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia. Testo dove si pone il ribaltamento, e totale, di alcuni valori.
L'arte, lascia qui intendere Bernhard, non è la forma suprema dello spirito ma la manifestazione più inutile ed ingannevole dell'uomo e la conoscenza non è un fine ma la fine di tutto. Si racconta nei due atti (in verità sproporzionati nella loro costruzione) di una cantante celebre per l'interpretazione della mozartiana Regina della Notte.
Siamo nel camerino dell'Opera prima della rappresentazione. Qui il padre dell'artista , quasi cieco e reso ebete dall'alcol, ascolta da un medico e corteggiatore della figlia il dettagliato resoconto di un'autopsia. Il racconto, crudo e brutale ma condotto linguisticamente con estrema abilità, è però solo pretesto per una più profonda analisi: quella del singolare rapporto che lega l'anziano genitore, in preda all'angoscia di essere abbandonato, alla figlia famosa e acclamata. Ma proprio quest'ultima, pur essendo all'apice del successo, rivelerà la sua decisione di abbandonare definitivamente il teatro per sfuggire alla saturazione , alla nausea dell'inutile ripetizione della troppo ripetuta perfezione.
È L'ignorante e il folle un'opera che richiede uno spettatore provveduto, capace di andare al di là di ciò che viene concretamente rappresentato. E che proprio per questo i registi affrontano creando un clima di grande eleganza, quasi di favola stregata. Gli attori a loro volta cimentandosi in una interpretazione di alta classe. Ida Marinelli, qui al meglio della sua arte, regalandoci con mimica eccellente un ritratto di cantante sulla via del tramonto degno di una vecchia diva di Holllywood. Ferdinando Bruni a sua volta a dare al dottore una sottile ironia drammatica che contagia lo spettatore.
Domenico Rigotti