di Carlo Goldoni
regia: Massimo Belli
scene e costumi: Alessandro Ciammarughi
musiche: Antonio Di Pofi
con Giuseppe Pambieri, Maximilian Nisi, Maria Letizia Gorga, Tiziana Bagatella, Barbara Abbondanza, Tony Allotta, Bruno Viola, Sebastiano Colla, Aldo Vinci, Azaiez Riahi
42° Edizione del Festival Teatrale di Borgio Verezzi - Prima nazionale
Borgio Verezzi, Piazza Sant'Agostino, 11, 12 e 13 luglio 2008
Commedia «minore» di Carlo Goldoni L' impresario delle Smirne veniva definita dal suo autore «critica vastissima, completissima dell' insolenza degli attori e dell' indolenza dei capocomici». Ma, come sempre in Goldoni, dietro la critica a questo mondo ristretto, chiassoso, popolato di cantanti e primedonne capricciose, impresari profittatori, sensali ruffiani, traspare in filigrana la critica ben più amara e lucida di una società decadente che sprofonda in una povertà che è anche miseria di valori e sentimenti. Uno sguardo su uno ieri non lontano dall' oggi. Nel 1973 Giancarlo Cobelli diede di questo testo una memorabile lettura registica che con un grottesco tagliente trasformava i vezzi in vizi togliendo ciprie e profumi per dare carne e olezzi. Il regista Massimo Belli ha presentato al Festival di Borgio Verezzi un gradevole spettacolo che si muove su quella linea così che la vicenda dei poveri artisti che a colpi di beghe, intrighi e capricci mandano all' aria la «scrittura» di un ricco impresario turco, viene calata in un' atmosfera laida da postribolo, ancorché marcata di farsesco, dove tutti sono in vendita. Tra paraventi che nel loro comporsi evocano vari ambienti, si agitano, in costumi d' epoca, guitti e profittatori stolidi nella loro pochezza. Il conte Lasca, che tutti sfrutta, è interpretato dal bravo Maximilian Nisi che ne dipinge a tinte fosche il duro cinismo, le baruffe delle «primedonne», Maria Letizia Gorga, Tiziana Bagatella, Barbara Abbondanza, sono ben orchestrate, il bravo Giuseppe Pambieri è un divertente «turco», peccato che per il sensale Belli sia ricorso all' orrendo stereotipo dell' «ebreo untuoso e avido». E i miseri sogni di tutti quelli che per compiacere i potenti e ottenere un po' di fama e di danaro sono pronti a sbranarsi e a far baratto di se stessi e della loro povera arte, si spengono in un futuro di stenti non diverso dal passato. *** L' impresario delle Smirne di Goldoni Palazzetto di Riccia (Campobasso)
Magda Poli
Serata lunga e brividi ottobrini per l'inaugurazione del 42esimo Festival di Borgio Verezzi. Prologo con la consegna al sindaco Vadora del diploma che sancisce l'inclusione di Verezzi, con il suo pugno di case saracene a strapiombo sul mare, nel club dei più bei borghi d'Italia («in cui è difficile entrare, ma da cui è facilissimo uscire», ammonisce minaccioso lo statuto del club). Quindi annuncio del vincitore del premio Veretium, attribuito quest'anno a Galatea Ranzi, interprete del personaggio della Figlia nel Malinteso di Camus diretto da Pietro Carriglio per il Biondo di Palermo. Infine, e se n'era già volata una mezz'oretta, giù le luci e si va a incominciare con L'impresario delle Smirne, commedia sul sottobosco divistico di Carlo Goldoni che deve la propria fama agli allestimenti di Luchino Visconti e di Giancarlo Cobelli. Più che illustrare un'opera in sé modesta, i due registi riuscirono a perforarne la patina rissosa e maldicente per suscitare un mondo sotterraneo di miserie, velleità, bassezze, ricatti che, nella visione di Cobelli, assumeva tinte lividamente funerarie.
Con L'impresario si confronta adesso il regista Massimo Belli che, più o meno inconsciamente, deve avere assorbito la lezione di Cobelli. Deve averlo fatto nell'identificazione dei personaggi irruviditi da un pulviscolo espressionista e anche nella semplicità della rappresentazione scenografica, che sostituisce ai bauli del modello la quantità mobile dei paraventi. Una volta fissati questi punti di confine, Belli procede per conto proprio e sviluppa il racconto dell'Impresario come una farsa nerastra dal finale non lieto ma ricco di futuro.
Succede che, nella speranza di un ingaggio per una lucrosa tournée nelle Smirne, un gruppo male assortito di cantanti e «virtuose» (dedite a tutto meno che alla virtù) dia il peggio di sé. Nel tentativo di prevalere e di ottenere il ruolo e la paga di primadonna, le virtuose si dilaniano, usano ogni genere di seduzione e di diffamazione. Spaventato da tanta litigiosità, il turco Alì taglia la corda e abbandona la compagnia sul molo. E, poiché è un galantuomo, lascia una borsa di zecchini a mo' di risarcimento. Le virtuose vorrebbero affondare le mani nel gruzzolo, ma il loro impresario-mediatore, il Conte Lasca, glielo impedisce: quei soldi, dice, serviranno a varare un'impresa teatrale e, se l'esperimento andrà bene, se ciascuno farà la sua parte, ci saranno denari per tutti; altrimenti, ciascuno per la sua strada. Ecco: nasce la prima cooperativa teatrale.
Con Belli il gioco è brillante, specie nelle baruffe tra le aspiranti primedonne che brandiscono i ventagli come fossero sciabole, ma si carica di una drammaticità eccessiva nel finale, quando i comici si ritrovano abbandonati sul molo di Venezia come su una banchisa polare, con venti e tuoni di spropositata violenza. A far stillare il dolce e l'amaro della commedia troviamo un gruppo d'attori dominati da Maximilian Nisi, molto bravo nel cinismo crudele del Conte Lasca. I suoi partner più convincenti sono Tiziana Bagatella (Tognina) e Maria Letizia Gorga (Lucrezia) che fa della seduzione un'arma irresistibile. Ricordiamo ancora Barbara Abbondanza e Bruno Viola nel personaggio del Nibio. La star della serata, Giuseppe Pambieri, si spende senza particolari estri nella parte piccola del turco Alì. Molti applausi.
Osvaldo Guerrieri
Non è certo tra le cose più riuscite di Goldoni L'Impresario delle Smirne, ma tanto ci appare arguta ed eccentrica che sempre la si rivede volentieri. Soprattutto nel plein air della piazzetta Sant'Agostino di Verezzi, sede del Festival di Borgio Verezzi giunto quest'anno alla sua 42ª edizione. Molto popolare nell'Ottocento, questa commedia che trae la sua linfa da quel mondo di comici, di virtuosi e di cantanti che Goldoni conosceva bene, fu tratta dall'oblio negli anni 50 da Luchino Visconti. La vicenda? Quella molto divertente e nel suo fondo amara di una misera compagnia di guitti-cantori che, sen- za lavoro, sono disponibili, dilaniandosi a vicenda, a ogni tipo di compromesso pur di avere una scrittura. Un ricco signore in vena di farsi impresario arriva dalla Turchia e porta per un poco delle illusioni al gruppetto. Ma dopo una serie di baruffe, di camuffamenti, di commedie recitate fuori dalla ribalta, il sogno svanisce. Alì, il mancato impresario, se ne riparte. Ne trae profitto il Conte Lasca, un equivoco viveur che fa sua la compagnia.
È Massimo Belli che mette in scena con estro e fantasia, sempre mantenendo vivo il divertimento ma anche cogliendo quel coté acre e satirico che è sotteso al lavoro. Fa dei personaggi mediocri creature che vivono fra leziosaggini e libertinaggio di basso cabotaggio. Assai vivido il concertato attorale. A cominciare dal terzetto di «virtuose »: e cioè le spassose Maria Letizia Gorgia, Tiziana Bagattella e Barbara Abbondanza. Da parte sua Maximilian Nisi dà giusto disegno al viscido e torvo trafficone Conte Lasca, in fondo il vero deus ex machina della sapida commedia. Giuseppe Pambieri, nel ruolo protagonista, limita le troppo facili sottolineature comiche ed esotiche e consegna un Alì, il turco, con bel segno ironico. Gli applausi non possono mancare.
Domenico Rigotti