(Les femmes savantes)
di Molière
Regia di Giovanni Anfuso
Interpreti: Giuseppe Pambieri (Chrisale), Giorgio Lupano (Trissotin), Micol Pambieri (Philaminte), Davide Sbrogio (Ariste), Barbara Gallo (Belise), Santo Santonocito (Vadius), Eugenio Papalia (Clitandre), Roberta Catanese (Henriette), Isabella Giacobbe (Armande), Margherita Frisone (Martine), Gabriele Casablanca (L’Epine)
Scene: Andrea Taddei
Costumi: Riccardo Cappello
Movimenti coreografici: Giorgia Torrisi Lo Giudice
Disegno luci: Antonio Rinaldi
Aiuto regia: Lucia Rotondo. Produzione: Teatro di Messina, Teatro Brancati- Catania
Dall’8 al 10 novembre 2024 Teatro Vittorio Emanuele di Messina
Quando nel dicembre del 1671 Molière mette in scena per la prima volta a Saint Germain-en-Laye al Théâtre de la Cour Les femmes savantes (Le femmine sapute) lo spettacolo ebbe scarso successo, provocato da una temporanea freddezza di Luigi XIV alias re Sole. Al contrario di quanto avvenuto all’inaugurazione della nuova stagione di prosa al Teatro Vittorio Emanuele di Messina dove lo spettacolo, titolato Le intellettuali, messo in scena da Gianni Anfuso è stato accolto positivamente con applausi fragorosi alla fine. Anfuso, di cui conosco la pignoleria, ha evitato orpelli barocchi, ricreando, grazie ad Andrea Taddei, un ambiente lineare e semplice, utilizzando, quasi in maniera brechtiana, una cantinella lunga quanto il palcoscenico, illuminata con vari colori, dividendo visivamente la scena in due ambienti, utili ad identificare con pochi oggetti i luoghi in cui agivano i protagonisti. Quanto poi ai costumi (quelli di Riccardo Cappello) quasi tutti i protagonisti utilizzavano abiti color pastello più vicini ai nostri tempi, indossando sopra degli spolverini lunghi trasparenti. Con questa commedia, l’ultima scritta in versi, Molière ha voluto lanciare i suoi strali alla classe degli intellettuali, spesso spacciati per filosofi, i cui loro ragionamenti astrusi non venivano capiti da nessuno, riuscendo tuttavia ad attrarre e entusiasmare quelle donne della borghesia parigina sol perché citando Aristotile o Platone andavano in sollucchero senza sapere di cosa si stesse parlando. Dunque una critica alquanto puntuta, espressa ad un tratto dal personaggio di Clitandre (Eugenio Papalia) innamorato di Henriette (Roberta Catanese) nei confronti del letterato alla moda Trissotin (Giorgio Lupano), presenti pure Armande (Isabella Giacobbe) e Philaminte (Micol Pambieri), allorquando gli spiattella in faccia che lui appartiene a quella gente che del proprio saper sembra ubriaca; ricchi sempre di chiacchiera importuna; d’ogni cosa incapaci, e privi affatto di comun senso, e pieni di ridicola boria nel denigrar spirito e scienza”: apparendomi subito davanti, so pure il perché, l’immagine dell’attuale ministro della cultura Alessandro Giuli. Una commedia all’origine in cinque atti (dovuto al fatto che a quel tempo l’illuminazione avveniva con delle candele che si consumavano nello svolgere d’un atto e se ne dovevano mettere delle nuove per il proseguo dello spettacolo), ridotta qui in due tempi per complessive due ore e mezza, il cui plot vede al centro il marito Chrisale e sua moglie Philamante, rispettivamente Giuseppe Pambieri e Micol Pambieri, che bisticciano di continuo a causa della loro figlia Henriette (Roberta Catanese). Il primo vuole che sposi Clitandre, un giovane a posto che sia pure innamorato di Armande, preferirà Henriette: la seconda, affascinata dalle roboanti parole dell’intellettuale Trissotin, vorrebbe che fosse costui ad impalmare la loro figlia, trovando d’accordo la cognata Belise (Barbara Gallo), sorella di Chrisale, anche lei presa da quel miserabile mondo culturale, di cui le piace assumere modi-detti-posture plateali e altisonanti, come è dato vedere in certi salotti snob televisivi dove l’ignoranza si taglia col coltello. Pare che stia per avere la meglio la madre Philaminthe, col notaio lì pronto a sposare i due, quand’ecco sopraggiungere ciò che accade nelle tragedie greche, quando gli intrecci si sciolgono con l’intervento del deus ex machina, raffigurato qui da Ariste (Davide Sbrogio), zio della giovane Henriette che consegna a Philaminte e al fratello Chrisale, due lettere dove sta scritto che hanno perduto tutti i loro averi, diventando di colpo Trissotin uccel di bosco, dileguandosi fuori da quel salotto, attratto evidentemente più dalla ricca dote della fanciulla che non dall’amore per lei, lasciando di fatto libero il campo, pronto ad essere occupato da Henriette e Clitandre che diventeranno marito e moglie. Si notava la cameriera Martine di Margherita Frisone, l’erudito Vadius di Santo Santonocito e il lacché L’Epine di Gabriele Casablanca. Gigi Giacobbe