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LOLITA - regia Paolo Giorgio

Emanuele Arrigazzi e Veronica Franzosi in "Lolita", regia Paolo Giorgio Emanuele Arrigazzi e Veronica Franzosi in "Lolita", regia Paolo Giorgio

di Marcello Gori
ispirato a Lolita di Vladimir Nabokov
regia Paolo Giorgio
consulenza scenografica Stefano Zullo
costumi Isabella Rizza
suono e musica Marcello Gori
luci Sara Chiarcos
con: Emanuele Arrigazzi e Veronica Franzosi
Produzione Circolo Bergman
Milano, Teatro Libero dal 12 al 24 febbraio 2015

www.Sipario.it, 18 febbraio 2015
Lolita (non ora non qui)

Partire da Lolita - controverso e famosissimo romanzo di Vladimir Nabokov (San Pietroburgo 1899 – Montreux/CH 1977), prolifico scrittore russo naturalizzato statunitense dai numerosi altri interessi come l'entomologia e il gioco degli scacchi - come fonte d'ispirazione è assolutamente legittimo vista la fama che ha connotato l'opera nel secolo scorso tanto che il nome 'Lolita' (in virtù anche della trasposizione cinematografica nel 1962 di Stanley Kubrick e del remake del 1997 diretto da Adrian Lyne) è divenuto un sostantivo che indica una giovanissima carina, seducente e sessualmente precoce.

Si tratta di un testo - scritto in inglese, pubblicato a Parigi nel 1955 e una decina di anni dopo tradotto dall'autore in russo - che da subito suscita scandalo e problematiche di censura all'autore e non facile da rappresentarsi per le infinite sfumature e variabili dell'insana, ossessiva e patologica passione di un professore di mezza età nei confronti di una dodicenne dal triste nome Dolores (chiamata anche Lo, Lola o Dolly), che gli ricorda Annabelle, il suo primo amore da tredicenne, e di cui diventerà un ossessivo patrigno pur di starle vicino.

Indipendentemente dalle analisi dettate dalla psicologia nelle sue varie sfaccettature, si può parlare di una passione ai limiti della pedofilia anche se ci si trova sul crinale della pubertà, e quindi più deviante appare il folle viaggio in cui il protagonista trascina la piccola, deprivandola delle gioie dell'infanzia, attraverso i motel di un'America derisa e irrisa per le sue debolezze covate sotto il rigore di una moralità intransigente e puritana.

Stanti queste premesse può succedere e succede che un professore e non solo d'università connotato da una forte divaricazione tra una grande cultura e un'incapacità di crescere dal punto di vista psicologico sia così complessato da sognare di vivere in prima persona le avventure descritte da Nabokov, ma nel testo di Marcello Gori la giovane è una matricola diciottenne - quindi non più una ninfetta (da cui il termine di ninfofilia o efebofilia o "sindrome di Lolita") - coinvolta e trascinata dalla perversa fantasia dell'uomo adulto desideroso di erotismo con donne giovani e 'fresche', situazione questa che cambia l'essenza stessa del romanzo e l'ottica con cui analizzare gli eventi tanto che il messaggio di Nabokov finisce con l'essere snaturato.

La scarna scenografia costituita da un materasso sciatto e sdrucito appeso come simbolo sotto cui giacciono sparsi altri oggetti, segni di un eros da postribolo, riduce questo rapporto a mera carnalità che non riesce a elevarsi, malgrado sprazzi di illusione intellettuale del professore, anche perché i due sembrano viaggiare su rette parallele, né la recitazione precisa, ma asettica dei protagonisti comunica emozioni o messaggi che avvincano o rimangano impressi nella memoria per cui si ha l'impressione di un puro esercizio recitativo.

Wanda Castelnuovo

Ultima modifica il Mercoledì, 18 Febbraio 2015 10:08

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