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MEDEA - regia Dario D’Ambrosi

Sebastiano Somma e gli attori del Teatro Patologico in “Medea” a Borgio Verezzi. Foto Luigi Cerati Sebastiano Somma e gli attori del Teatro Patologico in “Medea” a Borgio Verezzi. Foto Luigi Cerati

di Dario D’Ambrosi da Euripide
Con Sebastiano Somma, Almerica Schiavo, Paolo Vaselli, Morgana Forcella
e con la Compagnia stabile del Teatro Patologico composta da ragazzi diversamente abili
Regia Dario D’Ambrosi
Musiche originali di Francesco Santalucia
Direzione coro e percussioni Francesco Crudele in arte Papaceccio
Costumi Raffaella Toni
Produzione Teatro Patologico in collaborazione con Laros di Gino Caudai
Borgio Verezzi, piazza Sant’Agostino, 30 luglio

www.Sipario.it, 2 agosto 2022

É finita con una standing ovation, evento rarissimo in piazza Sant’Agostino. Per la prima volta in Liguria, dove arrivava da una nuova, trionfale tournée negli Stati Uniti (con tappe a New York, dall’Onu al prestigioso Café La Mama, un cult, a Los Angeles e a San Francisco), la Compagnia Stabile del Teatro Patologico ha entusiasmato il pubblico del 56. mo Festival di Borgio Verezzi con la sua originale versione della Medea di Euripide, uno spettacolo che sprigiona un oceano di emozioni. É piaciuto, e molto, l’interessante adattamento della tragedia, curato da Dario D’Ambrosi, regista, ma soprattutto patron di questo insolito gruppo teatrale, formato da ragazzi diversamente abili e da una manciata di attori professionisti. Sia pure liofilizzata e ricondotta alla durata di un’ora, la tragedia sprigiona intense suggestioni. La vicenda è nota: per vendetta, Medea (Almerica Schiavo) arriverà a uccidere i figli per punire il marito Giasone (Paolo Vaselli), deciso a ripudiarla per sposare Glauce (Morgana Forcella), figlia di Creonte (Sebastiano Somma), re di Corinto. Emotivamente molto coinvolgente, al punto che alcuni spettatori escono dalla sala con le lacrime agli occhi, la messa in scena punta soprattutto sulla presenza dei disabili mentali, che D’Ambrosi definisce “ragazzi speciali”, quando ricorda che “l’Italia è stata la prima nazione al mondo a chiudere i manicomi, mentre in altri Paesi ancora oggi giovani come questi sono sedati o nei letti di contenzione”.
Medea comincia con l’ingresso dalla platea dei componenti del coro, in una sorta di processione: salmodiano in greco antico, lingua nella quale continueranno a esprimersi, la stessa con cui, sul palcoscenico, Glauce sta recitando una litania. Le percussioni di Francesco Crudele si ripetono ossessivamente, e anche Medea soggiunge urlando la propria disperazione per la scelta di Giasone. Ma all’improvviso cala il silenzio. Accade quando Medea, interpretata da Almerica Schiavo con grande adesione drammatica in una eccellente prova d’attrice, inizia a parlare italiano. Ciò che delinea i vari momenti e quindi il differente utilizzo delle due lingue è proprio l’emozionalità, i diversi stati emotivi che caratterizzano questa violenta quanto commovente storia. “Le note dal vivo accompagnano i momenti in greco antico. Non è un semplice tappeto musicale ma un vero e proprio intervento corporeo ad arricchire e completare le suggestioni evocate da una lingua così antica e musicale. L’italiano invece è lasciato al silenzio, all’assenza di musica, a quella carica di emozioni presenti tanto nei monologhi di Medea quanto nei rapidi e intensi scambi di battute”, spiega D’Ambrosi.
Una delle scene più intense e ricche di pathos è quella dell’irrompere di Giasone alla disperata ricerca dei suoi bambini: “Dove siete, figli miei? Li avete visti?”. E straziante è il suo grido, quando due attori disabili, scortati da Medea, arrivano con i due cadaverini avvolti in un telo bianco. Il felice ’adattamento di D’Ambrosi ha posto come elemento centrale dello spettacolo il rapporto tra corpo e linguaggio: “Un corpo che si fa lingua e comunicazione, grazie all’importantissimo ruolo che ricopre la musica dal vivo; ed il linguaggio assume sostanza soprattutto attraverso l’uso del greco antico. É il risultato di un attento lavoro di studio e consulenze filologiche”. Spettacolo terapeutico, dunque? Anche ma non solo. Per questi “ragazzi speciali”, è una fantastica possibilità di espressione artistica ed emotiva: un momento insostituibile ed entusiasmante di aggregazione e di formazione in cui poter giocare e divertirsi ma al tempo stesso impegnarsi con grande serietà.
Il pubblico, al termine di questo vero e proprio tour de force emotivo, si spella le mani e si alza in piedi per rappresentare condivisione e consenso ai giovani in palcoscenico e la propria soddisfazione per l’ardita, ma riuscita operazione ad Ambrosi, a Somma, convincente Creonte, a Morgana Forcella, ottima presenza scenica, a Vaselli, emblema del Teatro Patologico, all’indiavolato percussionista Crudele, detto Papaceccio, all’autore delle appropriate musiche di Francesco Santalucia, e a Raffaella Toni, che ha creato splendidi costumi. E in un’edizione di festival dedicata alla “pace nel mondo”, non poteva non scattare l’approvazione corale per quanto dice al microfono uno di questi “ragazzi speciali”, e cioè: “Noi del Teatro Patologico siamo più forti della bomba atomica perché noi non uccidiamo, ma facciamo cambiare le idee”.

Roberto Trovato

Ultima modifica il Martedì, 02 Agosto 2022 09:38

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