E' un Cinquecento ben lontano dalle Corti principesche e dalla cultura del Rinascimento, quello che approda sul palco del Teatro della Corte con
Moscheta di Ruzzante. I protagonisti sono gente povera, rozza e ignorante che si esprime con un linguaggio sboccato, però vivo e immediato. Questo tono di immediatezza caratterizza tutto lo spettacolo, diretto da Marco Sciacclauga, dandogli il valore di una messinscena quasi improvvisata e lo stesso dialetto (a volte però incomprensibile) diventa una espressione di spontaneità. I quattro personaggi, tre uomini e una donna, sono ben delineati in scena, a cominciare dallo spasimante della bella Betia, al quale Maurizio Lastrico dà un esasperato coinvolgimento emotivo; il soldato di Enzo Paci offre accenti rozzi e violenti ed è a tratti una autentica maschera della Commedia dell'Arte, Barbara Moselli impersona le seduzioni femminili di Betia, rese con efficacia scenica e bella dizione. E' Ruzzante tuttavia il "mattatore" della vicenda, un personaggio a più dimensioni di cui Tullio Solenghi mette in luce l'aspetto di marito scornato, di imbroglione sfortunato, di uomo pauroso e sciocco, ma pure di malinconico e illuso sognatore. La verve comica di Solenghi dà il via alle risate e al sicuro divertimento. Meritano una nota le scene e i costumi di Guido Fiorato.
Etta Cascini