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MENNULARA (LA) - regia Walter Pagliaro

La mennulara La mennulara Regia Walter Pagliaro

di Simonetta Agnello Horby, Riduzione e adattamento dell'autrice e di Gaetano Savatteri
Regia di Walter Pagliaro, Scene di Giovanni Carluccio, costumi di Elena Mannini, musiche di Marco Betta
Movimenti scenici di Daniela Schiavone, luci di Franco Buzzanca
Con: Guia Jelo, Pippo Pattavina, Ileana Rigano, Mimmo Mignemi, Angelo Tosto, Fulvio D'Angelo, Raffaella Bella, Giorgia Boscarino, Filippo Brazzaventre, Valeria Contadino, Yvonne Guglielmino, Alessandro Idonea, Camillo Muscolinio, Emanuele Puglia, Raniela Ragonese, Sergio Seminara
Produzione: Teatro Stabile di Catania.
Teatro Verga dal 2 al 23 dicembre 2011

www.Sipario.it, 7 dicembre 2011
Sipario Online, 6 dicembre 2011
La Sicilia non come metafora (Sciascia dixit), ma collaudata, reiterata convenzione espressiva. Nulla di più, nulla di meno è l'insulare scenario di questa impetuosa, vigorosa "Mennulara" andata in scena allo Stabile di Catania, ad inizio di una stagione esplicitamente dedicata "all'altra metà del cielo": stando alla dichiarazione d'intenti del suo direttore artistico Giuseppe Dipsquale, e al primo progetto in merito che, anni or sono, fu la messinscena de "La creata Antonia" dal romanzo di Silvana La Spina.

Desunta dal romanzo d'esordio di Simonetta Agnello Horby (nota come giallista di squisiti innesti fra enigma scandaglio psicologico) la narrazione d'oggi è, a suo modo, una variante del noto, pergolesiano paradigma de "La serva padrona": colpire i rami d'albero con grosse canne, spezzarsi la schiena, dodici ore al giorno, e riempire coffe di saggina del prelibato frutto d'importazione asiatica.

Una di esse è Maria Rosaria Inzirillo, che- fra la metà degli anni cinquanta e gli inizi dei sessanta- viene accolta da una aristocratica, infiacchita schiatta dell'entroterra insulare (località Roccapalomba, presumo immaginaria) per diventarne, progressivamente, forza motrice, sfera di attrazione ed invidia, personaggio "maledetto" e misterioso, capace di accumulare ingenti somme di danaro che, alla sua (precoce) morte saranno motivo di multiformi conflitti e ricamate maldicenze delle compaesane- di alto e basso rango, indistintamente.

Si accennava alla "convenzione". Che non è solo intrinseca al "fare teatro"- ma soprattutto è il modo con cui si guarda alle vicende sicane, sia da parte del "continente", sia con occhi (e intelletto) di noi nativi, confortati e appagati nel perpetuare, delle cose di Sicilia, oleografie vetuste, luoghi comuni, coloriture forsennate o bozzettistiche. Che, quasi sempre, hanno origine araba, barocca, spagnolesca, in generosi miscugli di tragedia (e tragicommedia), grottesco, farsa involontaria, come nel miglior teatro di Emma Dante, Nino Romeo, Franco Scaldati. Non volendo poi polemizzare su tutto lo strame che, del "macondo" siciliano, ha fatto tanto cinema nazionale a cominciare dai pur buoni (fraintesi) propositi di Pietro Germi ("Sedotta e abbandonata"), dalle mafie-fiction di Damiani e "La Piovra" , dalle romanzate, assolate cosmogonie dell'orgoglio identitario timbrate da Giuseppe Tornatore ("Malena", "Baaria" ecc.)

Equivoci e malintesi che, come nel caso della "Mennulara" confondono realismo, verismo e ogni altro sentimento di evocazione o "cronaca del vissuto" con discontinuo mix di feroci solennità familistiche e autosacramentales della "buona morte", vistosamente gestiti da una pantomima di collaudati comprimari e una coralità di "dicerie" paesane che sottendono (non a torto) l'egemonia di un matriarcato castrante (e flagellante) nell'ambito di una sorgiva cultura che erroneamente viene imputata alla prevalenza del machismo e dei (mazziati) pater familias. Che anche da questa "Mennulara" (esteticamente vistosa, nelle elaborate scenografie multipiane di Giovanni Carluccio) vengon fuori smussati e malconci, nelle vaste gamme del ganimede impenitente, del capobastone malavitoso, di medici e professionisti di indiscussa banalità e protervia.

"Mondo era e mondo sarà"- ammiccava il Maestro Camilleri.

Figurarsi "certa" Sicilia, che dovrebbe sopravvivere al Giudizio Universale, in panciolle o a sfottere il prossimo, dall'alto della sua ontologica, predestinata "perfezione".

Angelo Pizzuto

E' sempre cosa ardua mettere in scena un best seller, un romanzo d'esordio di successo come La Mennulara (raccoglitrice di mandorle) della palermitana residente a Londra, Simonetta Agnello Hornby, pubblicato nel 2002 da Feltrinelli e tradotto poi in più di dodici lingue. Un'opera in cui tutto è già successo e in cui gradualmente si scoprono in flash back i segreti della defunta Mennulara o Mennù, come comunemente veniva appellata questa energica e atavica donna siciliana, il cui vero nome è quello di Maria Rosalia Inzerillo e che sin da ragazzina 13enne va a servizio della benestante famiglia Alfallipe, proprietaria di parecchi agri che si estendono nelle campagne immaginifiche di Roccacolomba. Anche il regista Walter Pagliaro utilizza gli stessi espedienti narrativi della Hornby (che firma pure con Gaetano Savatteri riduzione e adattamento dello spettacolo) per farci entrare nel cuore di questa piccola-grande donna che da serva e criata diventa idealmente padrona dei loro padroni con lucidità e autorevolezza mista a tenerezza e umiltà: rispettando i fatti narrati presenti e passati e pensando ad una scena (quella di Giovanni Carluccio) che potesse rendere visibili le varie location delle azioni. Scena in verità bruttina a vedersi (un mega-specchio deformante in alto, una serie di vie e viuzze e nelle parti mediane, gli interni-esterni di casa Alfallipe in basso sul palcoscenico e sulla destra un'orrida tenda a fiorellini per le entrate e uscite dei protagonisti) solo funzionale allo svolgimento dello spettacolo. Coinvolgenti invece le musiche di Marco Beta, evocative e suggestive, rinforzate da brani lirici tratte dall'Aida e da altre arie e ben raccordate le coreografie di Daniela Schiavone riferite ai raccoglitori di mandorle che sventolano in alto lunghi bastoni, a coloro che vanno dietro a processioni religiose o che partecipano ai funerali della protagonista.

Uno spettacolo di quasi tre ore con intervallo che certamente poteva essere sfoltito, ma che si superano grazie ad una Guia Jelo impeccabile e protagonista ideale di questa sua Mennulara, in grado col suo carisma di gonfiare ed esaltare la scena sin dal suo primo introibo che spinge una carrozzella e che detta istruzioni del suo funerale e del suo seppellimento. Una donna antica questa sua Mennulara ( anche se i fatti si svolgono ad inizio del boom economico degli anni '60), lontano dalla dirompente Lupa verghiana o dall'erotica Carmen bizettiana, che serba principi morali ferrei misti ad una personalità ambigua, in grado di farsi rispettare anche da individui mafiosi e raccogliere gli apprezzamenti più disparati. Accanto a lei un Pippo Pattavina misurato nel ruolo del capofamiglia Orazio Alfallipe che sin da ragazzo intreccia con la Mennulara una storia d'amore che durerà tutta la vita, condividendo con lei complicità e segreti che si sveleranno soltanto alla fine. Si fanno apprezzare le presenze di Ileana Rigano, Valeria Contadino, Filippo Brazzaventre, Mimmo Mignemi, Angelo Seminara e il resto del cast alle prese con più personaggi. Calorosi applausi al Verga per questo spettacolo che inaugura la nuova stagione del Teatro Stabile di Catania.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Mercoledì, 09 Ottobre 2013 13:30

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