di Antonino Russo Giusti
Regia di Turi Giordano
Interpreti: Guia Jelo (Peppa la Cannoniera), Cosimo Coltraro (Vice Brigadiere), Massimo Giustolisi (Turi, nipote di Peppa),
Emanuele Puglia (l’Ispettore di Polizia), Raniela Ragonese (Gna Pudda), Nino Signorello (Don Pepè), Gianni Sineri (il Caporale)
e con Alessandra Pandolfini (Maruzza figlia di Gna Pudda - la signora Clara, moglie dell’ispettore),
Graziana Spampinato (Ninetta, vicina di casa), Andrea Zappalà (Capitano guardia Nazionale)
Costumi: Sorelle Rinaldi
Luci: Antonio Licciardello
Scene: Jacopo Manni
Teatro Brancati dal 6 al 24 aprile 2022
Guia Jelo è nata attrice. Ha in sé qualcosa di speciale che non ti lascia indifferente quando la vedi e l’ascolti in scena, sia quando si esprime in lingua sia quando lo fa in uno stretto dialetto catanese. Sembra malinconica con un continuo mal di vivere, ma avverti in lei una sviscerata passione per il Teatro e per tutti quei teatranti che sono passati dalle ribalte etnee a cominciare dal Verga e finire al Brancati. In lei c’è il desiderio di trasformare il Teatro in un’arma sociale con un erotismo naturale impossibile da imprigionare. Indossare adesso i panni di Peppa la Cannoniera, un’eroina dei moti rivoluzionari del Risorgimento italiano al tempo in cui Garibaldi sbarca in Sicilia per liberarla dai borboni, narrata attraverso il lavoro di Antonino Russo Giusti, è stata per lei una sfida affascinante e rischiosa. Affascinante perché il personaggio ha più sfaccettature e rischiosa perché, a mia memoria, mai aveva interpretato il ruolo d’una rivoluzionaria d’antan, somigliante ad un mujaheddin iracheno per come è agghindata: scarponcini neri, pantaloni a zuava, uno scialletto beige di lana che le avvolge a forma di X la camicia rossa e il capo avvolto col caratteristico copricapo. Il personaggio è realmente esistito, all’anagrafe si chiamava Giuseppina Bolognara o Calcagno (dal nome della sua nutrice) nativa di Barcellona Pozzo di Gotto (ME) tra il 1826 e il 1841, sicuramente di origini umili, forse faceva la serva o stalliera e il soprannome di “la Cannoniera” le fu affibbiato allorquando con un astuto stratagemma, riuscì a ingannare due squadroni di lancieri dell’esercito borbonico colpendoli più volte con quello stesso cannone sottratto dai rivoluzionari ai borboni. Oggi quel cannone è oggi custodito all’ingresso del Castello Ursino di Catania. La sua partecipazione all’insurrezione antiborbonica di Catania del 31 maggio 1860, le valse una medaglia al valore militare e la carica onorifica di caporale. Lo spettacolo si svolge in tre brevi tempi su una scena (quella di Jacopo Manni) in cui s’intravedono sul fondo delle gigantografie di avvenimenti insurrezionali, mentre la regia di Turi Giordano naviga su stilemi filodrammatici, insistendo all’inizio non poco con quelle lavandaie che stendono panni con i colori della bandiera italica, mostrandoci il caporale di Gianni Sineri e il vice brigadiere di Cosimo Coltraro come due personaggi imbranati che non fanno ridere nessuno, cui si aggiungono i duetti al miele ambrosoli tra il Turi di Massimo Giustolisi e la Maruzza di Alessandra Pandolfini e si fa notare Emanuele Puglia nel suo rigoroso ruolo di ispettore di polizia che dovrà accettare lo scambio del suo figlioletto con dei detenuti carbonari. C’è ancora da dire che questo lavoro è stato scritto da Russo Giusti nel 1939, quando ancora a Mussolini gli roteavano i bulbi oculari, il cui intento doveva essere quello di sbeffeggiare il regime fascista, accomunando le camicie nere ai borboni, facendoli passare per cretini. Ma tutto questo purtroppo non viene fuori dallo spettacolo che doveva essere giostrato pensando a Jarry, Ionesco e al Teatro che faceva il Grand Magic Circus di Jerome Savary, ricco di nostalgia, ritmo, gaiezza e tenerezza.
Gigi Giacobbe