da Peter Weiss, regia Armando Punzo
Compagnia della Fortezza: Pasquale Gulisano, Costantino Perito, Marco Luoni, Massimo Ariostini, Domenico Russo, Francesco Capasso, Paolo Rizzo, Antonio D'Angelo, Giovanni Sutera, Sergio Colombo, Francesco Scimone, Giovanni Ferraro, Sebastiano Tanasi, Pietro Colerta, Giovanni Muntoni, Francesco Penna, Tolbia Habib, Pietro Di Biase, Adriano Dell'Anna, Gennaro Marino, Gaetano La Rosa, Domenico Flaccomio, Nicola Bello, M. Z. Huzumboi, Ludovico Di Leva, Cataldo La Bianca, Santo Ferrante
musiche Pasquale Catalano, scene Valerio Di Pasquale, Gianni Gronchi, Armando Punzo, costumi Daria Guerrini, Giovanni Sutera, aiuto regia Annet Henneman
al Comunale di Casalmaggiore 6 febbraio 2010
Marat-Sade della Compagnia della Fortezza è uno spettacolo ruvido, che tiene la distanza e non solo perché davanti agli occhi dello spettatore i carcerati di Volterra montano le sbarre che separano noi da loro, che ci rendono testimoni impotenti ma presenti della violenza, del silenzio, della rivoluzione soffocata dietro il sipario. Marat - Sade è uno spettacolo, produzione del 1993, ripresa nel 1997, che è stato fondante dell'esperienza del teatro in carcere di Volterra, di un teatro che è politico e s'interroga e interroga sulla libertà, sulla rivoluzione, sulla censura, sulla dignità dell'uomo. Inutile dire che Marat -Sade di Peter Weiss è un pretesto, è un canovaccio per uno spettacolo che è teatralità elevata all'ennesima potenza. La messinscena che i malati mentali di un manicomio/carcere fanno della vicenda tragica della morte di Marat, diretti dal Marchese De Sade si potenzia della duplice e non ignorabile situazione di reclusi che condividono i malati/personaggi di Marat-Sade e i detenut-attori di Armando Punzo. C'è un gioco di specchi e di teatro nel teatro che nega se stesso, che cammina sul filo sottilissimo che lega realtà e finzione, che chiede in continuazione il coinvolgimento del pubblico e al tempo stesso lo distanzia con il continuo appello di uno dei personaggi che arringa il 'Gentile pubblico...'. Ciò che accade dietro quelle sbarre sbattute, urtate e aggredite viene annunciato dal battitore, si svolge davanti agli occhi degli spettatori in sala e dei matti in scena, ha come punto focale Marat nella sua tinozza, corpo sacrificale della violenza e della rivoluzione negata e alla fine si stempera nell'ordine che Punzo-direttore del manicomio e regista interno all'azione dà con il secco pronunciare: 'terapia'. I matti vengono ricondotti all'ordine e il meccanismo della tortura teatrale riprende. In questo circolare evolversi della vicenda, del sacrificio di Marat e della rivoluzione all'interno del manicomio descritto di Weiss si compie l'azione metateatrale della Compagnia della Fortezza che paradossalmente denunciando la finzione della finzione finisce col rendere più vera e ruvida appunto la presenza di quegli uomini in scena. L'andamento stesso dello spettacolo è simile all'abbattersi furioso degli attori contro le sbarre, un'aggressione che scuote e che poi ricade come corpo morto, lo stesso ricadere del sipario nero che copre la rivoluzione dei matti ai danni del direttore, una rivoluzione soffocata nel silenzio, così come Marat viene soffocato nella sua tinozza, così come la dignità dell'uomo è soffocata nelle carceri, nei manicomi, nell'atto violento di Caino istituzionalizzato su Abele/individuo.
Nicola Arrigoni