drammaturgia e regia Armando Punzo
con gli attori detenuti della Compagnia della Fortezza
scene Alessandro Marzetti | costumi Emanuela Dall'Aglio
movimenti Pascale Piscina
assistenti alla regia Stefano Cenci - Laura Cleri
collaborazione artistica: Manuela Capece - Andrea Salvadori - Giacomo Trinci
collaborazione alla drammaturgia Maurizio Braucci, assistente ai costumi Silvia Bertoni, video Lavinia Baroni
collaborazione al progetto Luisa Raimondi
La Compagnia della Fortezza al Teatro Auditorium di Scampia, 27-28 febbraio 2009
Sente le voci Pinocchio. Voci che gli suggeriscono cose che non gli piacciono: “Ho una certa difficoltà a metterle a letto”. E’ quasi doppio anche nella voce: da un lato acconsente “sì, sì, sì”, dice, ma dall’altra si rifiuta di obbedire, ribelle e contestatore trasforma l’antica favola e ne inverte il percorso. E’ questa l’impostazione che Armando Punzo ha dato alla messinscena del suo “Pinocchio-Lo spettacolo della Ragione”, che ha debuttato a Napoli a marzo. Interprete egli stesso del burattino collodiano, è protagonista e centro dell’azione. Intorno a lui ruotano i personaggi, gli amici, i sogni, interpretati dagli attori della Compagnia della Fortezza del carcere di massima sicurezza di Volterra, dove lavora da ventuno anni.
Sulla scena tutta nera, è sparso un manto di sabbia, lui corre e si agita da un punto all’altro, con la corda al collo, urlando al microfono, come in un varietà, il suo rifiuto, il suo conflitto mentre una voce fuori campo ripete ossessivamente ricordi d’infanzia: la stanza “piena di famiglia”, la stanza della sua nascita, il caldo utero materno. “Qui ho sperato, mi sono ridotto sempre di più e ora muoio un’ora dopo l’altra”. E organizza il suo funerale, danza col manichino-cadavere e gli prepara la camera ardente.
Un coniglio bianco, il gatto, la volpe, i carabinieri, la fata turchina, un angelo e tutt’intorno alla scena le teste di Donnie Darko gli fanno compagnia. Il centro è lui. In un sogno, un’utopia, una rivoluzione. La voglia di tornare pezzo di legno, prima di essere un “buffo burattino” e non voler diventare un “bravo bambino”. Anzi, perché no, meglio ritornare albero e da albero alla foresta. Ma ecco che, da improvvisi sipari appare la vita vera: una famiglia che cucina, gioca, ascolta musica. E più in là uno spettacolo rock con tanto di chitarrista, luci della ribalta, cow boy. Non va, Pinocchio chiude tutte le porte e chiama gli amici. Lucignolo-asino-Pierrot esce dalla cornice nella quale era imprigionato nel mondo dei Balocchi e tutti insieme danzano.
Numerose le citazioni: dalla favola di Alice al monologo di Don Chisciotte, alla finale shakesperiana Tempesta.
Non di cibo o di bucce di pera si nutre Pinocchio, ma di cultura, di libri, di arte, di pittura, di musica. Pasolini, Kafka, Rabelais, Mozart e Beethoven lo acconpagnano in questa trasformazione, in questo rifiuto della realtà, della società attuale, che costruisce carceri “anche senza sbarre”, dice Punzo, “che crea inferni come le prigioni”.
Il messaggio, però, non può che essere salvifico per una compagnia di detenuti che, certamente “bravi bambini” non potranno essere considerati e per lo stesso autore-attore-regista che pare trovare in questa messinscena-metafora una modalità catartica. Appare evidente la “necessità” del recitare ma, dice Pinocchio: “Non si può mettere in scena ciò che non si ama”.
Il suo urlo ribelle e anarchico raggiunge la testa più che il cuore dello spettatore e fa riflettere sul ruolo dell’uomo, sull’etica della politica, sull’essenza del vivere.
Sulla scena, una trentina di persone di diversa provenienza dall’africano, al siciliano, al napoletano. Per lo spettacolo Armando Punzo ha coinvolto anche alcuni allievi della sua Squola e qualche “corsaro”, i giovani che lavorano a Scampia nella rassegna “Punta Corsara”.
Questo spettacolo rappresenta un’ulteriore tappa del laboratorio all’interno di Volterra, carcere-pilota in Italia. Il prossimo passo dovrebbe essere l’stituzionalizzazione del gruppo in una Compagnia Stabile.
Angela Matassa