venerdì, 08 novembre, 2024
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“Atlantis - Capitolo 2” - In bianco e nero il mondo di Armando Punzo alla Fortezza di Volterra. -di Valeria Ottolenghi

"Atlantis cap. 2" -  Compagnia della Fortezza. Foto Stefano Vaja "Atlantis cap. 2" - Compagnia della Fortezza. Foto Stefano Vaja

In bianco e nero il mondo di Armando Punzo alla Fortezza di Volterra
Citazioni dalla storia dell’arte alla ricerca della felicità
“Atlantis - Capitolo 2”: molte parole, concetti complessi nell’inquietudine dell’esistenza

“Atlantis - Capitolo 2”
direzione artistica: Armando Punzo
direzione organizzativa e cura dei progetti: Cinzia de Felice
drammaturgia e regia: Armando Punzo
musiche originali e disegno sonoro: Andreino Salvadori
scene: Alessandro Marzetti, Armando Punzo
costumi: Emanuela Dall’Aglio
movimenti: Pascale Piscina
aiuto regia: Laura Cleri
assistente alla regia: Alice Toccacieli
sound engineer: Alessio Lombardi
allestimenti: Luca Dal Pozzo 
collaborazione drammaturgica: Elisa Betti, Lucio Di Iorio, Laura Cleri, Paul Andrei Cocian, Giulia Guastalegname, Rossella Menna, Francesca Tisano, Alice Toccacieli
collaborazione artistica: Isabella Brogi, Adriana Follieri, Daniela Mangiacavallo, Elena Turchi, Eden Tosi
collaborazione agli allestimenti: Pasquale Concas,  Marian Iosif Petru,  Alessandro Lorena, Romeo Bogdan Erdei
assistenti ai costumi: Sara Fazio, Ilaria Strozzi, Pasquale Concas, Salvatore Stendardo,
Paul Andrei Cocian, Ciro Afeltra, Li Jin Jie, Giovanni Colombo, Alessandro Ventriglia
assistenti volontarie e stagiste: Valentina Corradini, Eva Dettori, Caterina Lanza, Annalisa Nangano, Margherita Pecchia, Bianca Rongone,
in scena: Luca Abate, Ciro Afeltra,  Isabella Brogi, Luigi Ammendola, Abd Al Monsiff Abd Arahman, Wissem Azizi, Khalif Bashik, Elisa Betti, Valentin Bucur, Salvatore Buffone, Daniel  Chukwuka, Biagio Cipparano, Paul Caocian, Giovanni Colombo, Pasquale Concas, Salvatore Costantino, Maurizio Di Bella, Lucio Di Iorio,  Maurizio Diotallevi, Paolo Dori, Romeo Bogdan Erdei, Francesco Esposito, Francesco Paolo Ferraro, Luigi Fontana, Carmine Fratepietro, Federico Furlan, Giulia Guastalegname, Francesco Guardo,  Domenico Giorgi, Antonio Iazzetta, Nik Kodra, Urim Laci, Patrik Lacomare, Matteo Ladogana, Antonio Lanzano, Jie Lin Jin, Alessandro Lorena, Davide Mannarà, Luca Matarrazzo, Bustos Tunoo Nay, Toni Nezahay losif Marian Petru, Mirco Pettinelli, Fernando Poruthotage, Michele Privitera,  Armando Punzo, Massimiliano Quartarone, Andreino Salvadori, Ivan Savic, Samir Serjani, Salvatore Stendardo,Timon Tarantino, Dritan Ternovo, Giuseppe Terzo, Francesca Tisano, Fabio Valentino, Kuitin Vello, Alessandro Ventriglia, Tommaso Vaja, Stefano Vezzani
Produzione: Compagnia della Fortezza con il sostegno di MIC - Ministero della Cultura,  Regione Toscana,  Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra,  ACRI – Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio Spa, Comune di Volterra,  Ministero della Giustizia Casa di Reclusione di Volterra
in collaborazione con  VaiOltre!, Anti Social Social Park, Fatti di Teatro, main sponsor Locatelli Saline di Volterra

Forse anche lo stesso Armando Punto condivide la nostalgia di tanti di noi, di un tempo ormai distante, quando realizzava spettacoli - veri capolavori - dove la sua poetica si fondeva meravigliosamente con le esigenze espressive dei detenuti e preziosi testi, più o meno adattati, tagliati, rivisti, rielaborati, “Marat Sade”, “Macbeth”, “Insulti al pubblico”, solo per  citarne alcuni a caso, conservavano la loro essenza e pure diventavano altro, sensi ulteriori che si andavano stratificando, depositando emozioni. Perché non era mai possibile dimenticare che quelle parole erano sì “d’autore” ma che, con il lavoro svolto insieme, erano come se le avessero scritte loro, i detenuti, assorbite, fatte proprie, dette con la sicura tranquillità di chi ha capito cos’è il teatro, tanto lavoro per sé, per il gruppo, per un esito che diviene comunicazione con gli spettatori a molteplici livelli. Una meraviglia.

Atlantis cap. 2 Compagnia della Fortezza 8 foto di Stefano Vaja
"Atlantis cap. 2" - Compagnia della Fortezza. Foto Stefano Vaja

Poi Armando Punzo ha preferito salire in scena, occupando sempre più spazio/ tempo per sé, affrontando concetti complessi in un linguaggio filosofico che, così assemblato, si fa estremamente arduo per tutti. Conoscendo da vicino tanti spettacoli di teatro in carcere, incontrati nei luoghi di detenzione, da Milano a Potenza, da Venezia a Saluzzo, da Modena a Civitavecchia, dalla Gorgona a Genova, da Parma a Pesaro, e ancora ancora se si aggiungono quelli visti durante i festival Destini Incrociati, rassegna durante la quale vengono illustrati anche numerosi video, si è imparato da tempo che il maestro guida non è mai, mai, solo regista.

Punzo lo sapeva bene, abbiamo parlato spesso con i suoi attori in quegli anni d’oro, ricordiamo il fervore, la passione con cui spiegavano il loro lavoro. Con dispiacere - per Punzo, i suoi collaboratori, ma soprattutto per chi si trovava in scena in una condizione di estraneità - avevo deciso due anni fa, dopo “Naturae. La valle della permanenza” di non seguire più la compagnia della Fortezza. Si ricorda che allora si era scritto di magnifiche visioni, per i colori, i costumi, una sorta di ardita sfilata, pure chiara si poneva la domanda che ritorna ora qui: cosa aveva portato a una svolta tanto radicale?  Punzo sempre in scena, una bella presenza, magrissimo, in nero, meno significativa la voce, per lo più letture di carattere speculativo, frammentarie, mentre i detenuti sembravano dei figuranti dentro a un mondo immaginifico distante da loro, distante da tutti. 

Atlantis cap. 2 Compagnia della Fortezza 22 foto di Stefano Vaja
"Atlantis cap. 2" - Compagnia della Fortezza. Foto Stefano Vaja

No, non alla Kantor, in quegli spettacoli dove il geniale regista assisteva in scena a ricordi suoi/  collettivi, intervenendo a comporre un mondo perduto denso di echi profondi. Con la sua compagnia, condividendo il processo creativo: così aveva fatto anche durante un laboratorio a cui avevano partecipato amici (lo stesso Renato Palazzi) rimasti molto toccati dall’esperienza. Si sentiva invece  in “Naturae”, 2022, il disagio vissuto dai detenuti, ben diverse le esperienze di teatro in carcere incontrate altrove  dove ogni partecipante si muove, parla, con la tranquillità di chi sa dove si trova, perché è lì, il significato delle parole che dice e che ascolta, trasmettendo una speciale gioia, anche perché non è raro che qualcuno scopra, con il piacere di trovarsi immerso in mondi difficilmente incontrati prima, il gusto coinvolgente, appagante, della cultura che porta lo sguardo altrove, sa tenere compagnia, 

Ma d’estate si gira spesso in gruppo da un festival all’altro. E la puntata dopo Radicondoli era Volterra. Bello stare ancora insieme, discutere su quanto si è visto. Bene: un ritorno alla Fortezza! In scena “Atlantis capitolo 2”. E si era saputo anche del corso di aggiornamento lì presso la Fortezza, diverse le compagnie note che partecipavano, anche molto brave, artisti di valore che guidano da anni gruppi di teatro in carcere con esiti notevoli. Chissà!, magari utile il confronto…Ci si domandava se Punzo, oltre a convocarli lì fosse mai andato a vedere qualche loro lavoro. Tra l’altro in diverse città si è realizzato uno dei sogni di Punzo: la creazione di un teatro all’interno del carcere, a Geneva Marassi, tra le due cinta di mura, a Roma Rebibbia (lì i Fratelli Taviani videro, maestro guida  Fabio Cavalli, “Cesare deve morire”, da cui il film Leone d’Oro a Berlino), a Milano Beccaria (il minorile), teatri completi, di massima efficienza, ma in moltissimi carceri ci sono sale trasformate in teatri, oscurabili, con impianto luci, attrezzate via via sempre meglio.

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"Atlantis cap. 2" - Compagnia della Fortezza. Foto Stefano Vaja

Con una bella rete di contributi - per Punzo e per chi aderisce al suo programma “Per aspera ad astra” - da A.C.R.I. (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio Spa) e da dodici fondazioni bancarie. Ossigeno prezioso, che tanti altri anche meriterebbero: inutile ripetere qui discorsi, più volte affrontati, sul valore del teatro in carcere, per la caduta della recidiva, la crescita dell’autostima, individuale e di gruppo, per la conquista di competenze spendibili anche “fuori”. E Punzo è stato, un tempo, importante figura di riferimento, ora (ma ormai da anni, e sempre più) preso piuttosto dall’urgenza, così è parso, di riuscire a catturare essenze di pensiero vagante. Sul palcoscenico carcere, lui creatore: nell’ultima scena di “Atlantis capitolo 2”, dopo aver compiuto un’action painting, bianco sul piano nero orizzontale e a terra, usando mani e piedi, camminare e lasciare tracce di sé, apparse tutte le creature che gli spettatori avevano incontrato in precedenza, una serie di citazioni dalla storia dell’arte, dominante il geometrismo, Punzo abbraccia in un unico sguardo la sua opera, quanto strutturato per ogni detenuto, quanto è stato sfogo irrazionale del gesto, ed esclama, ripete più volte, “E’ questa la felicità di cui parlo”.

Anche all’avvio di “Atlantis 2” Punzo, in un inseguirsi della sua voce registrata e in diretta, cerca il modo di lasciare traccia di sé: gli alberi del cortile, fasciati di bianco, ricevono segni neri verticali, mentre ampi cerchi ondeggiano sul fondo, neri in una prima visione, ma dall’altra candidi. E per tutto questo tempo, su un piano circolare bianco, un detenuto, a  terra, resta costantemente in tensione, come tra spasmi, contrazioni muscolari. E comincia ad apparire qui, presenza che torna, il cappello a punta, dai significati ambigui, per facilitare la comunicazione con le divinità nel mondo antico, strumento di discriminazione e umiliazione nel medioevo cristiano, usato come punizione a scuola, arrivando a caratterizzare sia streghe che fate. “Il protagonista di questa storia - si legge nelle note di regia - non accetta più la realtà in cui vive, decide di prendere le distanze da se stesso e da un mondo in cui non si riconosce più”. 

Atlantis cap. 2 Compagnia della Fortezza 24 foto di Stefano Vaja

Altri alberi ricevono il segno scuro: mentre il pubblico si allontana si vedono detenuti che avvolgono di chiaro i tronchi in attesa del percorso successivo. “Molte cose nel mondo non sono ancora chiuse”. Ritorna anche negli scritti il tema delle infinite possibilità: “non è l’uomo in tutte le sue migliori potenzialità l’attualità più attuale di tutte?”. Palle bianche e nere. Momenti di fermo statuario su piedistallo. Si passa quindi all’interno, gli spettatori come visitatori di diverse stanze. La fruizione non è chiara: qualcuno si ferma a lungo in una prima o seconda stanza, altri si spostano velocemente con il desiderio di riuscire a vedere il più possibile. Il corridoio è stretto. Punzo ride  come un guru che ha avuto un’illuminazione e si trova in un’altra dimensione. Baffi neri, cilindri, guanti bianchi, una ragazza recita con auricolare, due detenuti sembrano inseguirsi con lo sguardo, un altro viene fatto ruotare come su un carillon. 

In altre stanze si scorgono figure composte di elementi geometrici, altre con immense gorgiere. Un violinista, un manichino senza testa. Astrattismo e metafisica, un citazionismo disordinato come sembra il testo che ci è stato consegnato, solo una parte utilizzata il pomeriggio del nostro percorso. “Le forme geometriche, squadrate, che ricordano un ordine sociale ideale razionale, freddo, sono quelle con cui interagiamo per far emergere la vita. Per trovare spazio negli interstizi, nelle pieghe del suo essere illiberale”. Tutto bianco e nero naturalmente. Nella “chiesetta” - in cui non tutti gli spettatori riescono a entrare - sul fondo apparizioni in cilindro già viste e nuove, giochi futuristici, ventagli  bianchi e neri, forse anche voglia di cabaret, mentre Punzo, un uccellino sulla spalla, pare divertirsi della situazione di disagio, tutti molto stretti, alcuni esclusi. Segni bianchi alle pareti come onde occasionali. Altre letture.

Parole e parole, pensieri che si confondono, s’inseguono, che neppure all’analisi attenta lasciano intuire una sorta di coerenza, se non in quell’inquietudine personale che mescola ogni cosa, dominando cose e persone. Una sorta di condizione onirica. E se erano segni precisi nero su bianco quelli iniziali sugli alberi, ora, tornati all’esterno, paiono casuali sul nero di fronte e a terra, quasi un gusto infantile intingere le scarpe nella vernice. “In questa zona crepuscolare, tra sonno e veglia, vita e morte, luce e buio, stanno i sogni, le allucinazioni  e gli stati di coscienza alterati”. Armando Punzo grida alla felicità. Ruota una figura femminile con un grande mantello, quasi evocando i dervisci rotanti, forse nel bisogno di nuove forme di meditazione, di trance. Efficace il saluto, con tutto il foltissimo gruppo di partecipanti allo spettacolo di Punzo che si gira e quindi si mostra, quasi a ritmo. Ogni volta una marea di applausi. 

Valeria Ottolenghi

Ultima modifica il Giovedì, 15 Agosto 2024 18:41

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