di William Shakespeare
con Mirko Feliziani, Oscar De Summa, Angelo Romagnoli, Elena Borgognini
regia: Massimiliano Civica
Parma, Teatro Due, dal 27 al 29 ottobre (prima nazionale)
Napoli, Ridotto del Teatro Mercadante, dal 8 al 18 gennaio 2009
Ma insomma, Shylock è buono o cattivo? Deve suscitare pietà o repulsione quest'ebreo che prima invoca il rispetto della pari dignità fra gli uomini e poi, da insensibile e crudelissimo usuraio, quella dignità calpesta, reclamando disumanamente (e in tribunale!) la famosa libbra di carne dal corpo del suo debitore Antonio? La verità è che con il celeberrimo personaggio de «Il mercante di Venezia» Shakespeare diede, nello stesso tempo, la prima prova compiuta dell'ormai raggiunta maturità d'autore e il primo, e forse il più convincente, dei suoi inconfondibili ritratti dell'uomo moderno: considerato - per ripetere le parole di Gabriele Baldini, che resta il nostro maggior anglista - «in tutto l'equivoco splendore d'un dio decaduto, indagato con tutta la spietatezza d'un fratello tenerissimo, amato o odiato con tutta la passione d'un amante che non sente ragioni». In breve, la crudeltà di Shylock - aggiunse Baldini - «non ha nulla di demoniaco», ma «è la naturale e triste progenie di una mortificata amarezza che gli uomini, inconsciamente, alimentano nei propri fratelli». E per riassumere, aggiungo a mia volta che l'usuraio del Bardo è un emblema della vita, in tutta la sua impassibilità e in tutte le sue, per l'appunto, contraddittorie manifestazioni. Sicché il vero dramma proposto da «Il mercante di Venezia» sta proprio nella separazione rispetto alla vita: separazione di cui è anch'esso un emblema dichiarato il personaggio di Porzia, non a caso colei che abita a Belmonte, sulla terraferma rispetto a Venezia, e attende solo un marito destinatole dalla sorte: «Io non posso né scegliere colui che vorrei, né rifiutare colui che mi dispiace: tale è la volontà di una figlia viva imbrigliata dall'ultima volontà di un padre morto» (atto I, scena II). Ebbene, proprio sulla separazione (in tutti i sensi) si basa l'allestimento de «Il mercante di Venezia» che la Fondazione Teatro Due presenta nel Ridotto del Mercadante per la regia di Massimiliano Civica. Vengono isolati, mercé il taglio di tutti gli altri, i personaggi di Antonio, Bassanio, Porzia, Shylock, Lorenzo e Jessica, e a loro volta isolati restano gli ultimi due, a dirsi sussurrando le loro parole d'amore lontane dalla logica del danaro. E si alternano i volti nudi e quelli coperti dalle maschere. E la parlata di Porzia è un cantilenare inespressivo, assai poco colloquiale. Giusto. E in linea con l'assunto della regia risulta la prova degli interpreti: Mirko Feliziani, Oscar De Summa, Elena Borgogni e Angelo Romagnoli. L'insieme, però, ha un che di meccanico. Come un compito svolto a tavolino, che rivela, certo, applicazione e precisione, ma rimane incatenato ai libri, e non s'affaccia mai alla finestra.
Enrico Fiore
Il mercante di Venezia di Shakespeare nella lettura olistica di Massimiliano Civica è un esempio di lettura drammaturgica acuta e intelligente. Il lavoro di Civica su Shakespeare si pone nella direzione della lettura scenica dei grandi classici, testi di prova per la contemporaneità. Si dirà che la forma scelta dal regista si dimostra non solo duttile rispetto ai testi che di volta in volta affronta, ma anche un efficace strumento ermeneutico di lettura dell’ipertesto, ovvero dei collegamenti alla pratica teatrale e alla poetica scenica di cui sono intessuti i testi shakespeariani. Assistere a Il mercante di Venezia di Massimiliano Civica non è assistere alla ripetizione di un cliché: il rigore e la sottrazione scenica in favore della parola e dell’attore. Massimiliano Civica ha dimostrato di saper condurre un ottimo lavoro drammaturgico, sciogliendo i nodi narrativi del testo e restituendolo – in un’ora e mezza e con soli quattro attori in scena – in tutta la sua complessità. Il rito è quello di sempre: attori immobili, questa volta con il lusso delle maschere che indossano e tolgono con matematica precisione, uno spazio scenico vuoto, quattro sedie e una recitazione costruita sull’uso non accademico dei toni, ma assolutamente controllata e in grado di assecondare il respiro del testo. L’effetto di tutto ciò è all’inizio spiazzante, ma poi diviene una griglia in cui il testo e la lettura della storia dell’amicizia/amore di Bassanio (Oscar De Summa) e Antonio (Angelo Romagnoli), dell’amore di Bassanio per Porzia (Elena Borgogni), della lotteria dei tre scrigni, ma anche del ruolo dell’ebreo Shylock si compongono sotto un’unica parola: la forza dell’amore e della passione. In questa prospettiva Shylock (Mirko Feliziani) finisce con l’essere un semplice intermediario e non l’ebreo condannato dalla furia antisemita della Venezia mercantile. Tutto si svolge all’interno di un mondo di mercanti, in cui il denaro e la ricchezza sono naturali materie di scambio con cui si misura tutto, l’amore e la vita, la morte e il dolore. Il ruolo di Shylock è fornire semplicemente la cifra richiesta da Antonio per assecondare la passione di Bassanio, in nome di un legame amicale e amoroso di cui non vuole perdere il predominio. Massimiliano Civica mette in primo piano la vicenda di Porzia e lo fa avvalendosi di un’attrice assolutamente pregevole: Elena Borgogni e con un elegante movimento di danza che segna ogni volta l’ingresso a Belmonte. Il rito dei tre scrigni è cadenzato con intelligenza e affidato alla visibilità risolutrice delle maschere. Gli unici che sembrano scampare alla dittatura del denaro sembrano gli amanti Jessica e Lorenzo – stilizzati in siparietti in maschera di sapore deberardinisano – che frequentano l’utopia disinteressata del sogni, piuttosto che la passione mercanteggiata della Venezia di Bassanio, Antonio e Shylock. Il Mercante di Venezia di Massimiliano Civica ha confermato la felice vena creativa del regista romano e il rigore di una ricerca drammaturgica e registica che alla forma affidano la cornice di una non comune dote di lettura del testo teatrale. Alla fine dello spettacolo si rimane basiti, ci si rende conto di aver assistito non ad una riduzione di Shakespeare, ma alla messa in atto dei meccanismi drammaturgici del grande autore, sciolti nel rigore dei movimenti e della recitazione col fine onesto e ‘didattico’ di raccontare con acume la vicenda di Shylock e del mercante Antonio, due volti della stessa Venezia, metafora di un mondo governato e misurato sul denaro, un mondo che ci appartiene e che nell’amore può avere la sua salvezza, paradossalmente l’amore disinteressato di Jessica e Lorenzo e non quello calcolato di Bassanio per Porzia. Vedere per credere…
Nicola Arrigoni
Civica, una frugalità rivoluzionaria Come ha fatto notare Antonio Baudino sul Sole, Massimiliano Civica, 33 anni, è un' eccezione nel panorama del teatro italiano. Può indicare il principio di un rinnovamento. Nominato direttore del teatro della Tosse di Genova, non produrrà né quest' anno né mai un suo spettacolo. Perché? gli ho chiesto a Parma, dove l' ho incontrato. «Perché - mi ha risposto - a Genova voglio fare altre cose, voglio un buon cartellone, voglio insegnare, non voglio sottomettermi alla dominante logica dello scambio». Frugalità assoluta, dunque. Giorni fa parlavo di Piero Maccarinelli del quale, a Roma, risultano in scena o previsti tre o quattro spettacoli nel giro di una mezza stagione. Gli spettacoli di Maccarinelli sono prodotti da enti pubblici e privati. Ci si chiede il motivo di tanta attenzione nei confronti di un così modesto regista. Ma Civica è un esempio non solo rispetto a Maccarinelli. Lo è anche rispetto a registi qualificati, da Ronconi a Latella, i quali con i loro prodotti invadono i nostri palcoscenici. Ciò in cui Civica non è affatto frugale, anzi bulimico, è il modo di accostarsi a un testo. De Il mercante di Venezia ha confrontato 32 versioni: la peggiore è quella di Gabriele Baldini, la migliore quella di Agostino Lombardo. Lui, va da sé, per il suo Mercante si è servito di una propria traduzione con la quale torna, come era stilisticamente inevitabile (pensando ai primi spettacoli) la sua frugalità. Frugale, asciutto, quasi laconico Civica lo è in assoluto. A partire dagli attori che sono solo quattro: la giovanissima Elena Borgogni; Oscar De Summa, che avevo visto in un suo Riccardo III; e i bravissimi Mirko Feliziani e Angelo Romagnoli. Costoro, per i personaggi secondari, indossano maschere di lattice. Ma tendono alla scarnificazione interna anche dei personaggi principali che ciascuno di essi interpreta: nell' ordine, Porzia, Bassanio, Antonio e Shylock. Qual è, per Civica, il punto? Formalmente, lo stesso che nel precedente La Parigina di Becque (anche se Shakespeare non è Becque, i rischi sono dunque maggiori): ridurre il tasso di espressività al minimo, tutti parlano nello stesso modo, tutti parlano a bassa voce, sembra che si succedano in una litania, quasi in una preghiera. Spesso si affrontano a tu per tu, due per volta. Gli altri due si siedono, a vista; come, a vista, velocemente trasformano le proprie fisionomie senza uscire di scena. Ciò che risulta subito evidente, anzi rivoluzionario, è quanto Shylock non sia il protagonista, ma uno tra i tanti, o tra i quattro. Altrettanto chiara è la dinamica che lega gli altri tre. Antonio ama Bassanio, Bassanio ama Porzia, Porzia non ama nessuno, o forse se stessa, il suo potere, la sua ricchezza. L' unico urlo dello spettacolo lo caccia l' ebreo, poiché è l' unico che ami, o abbia amato, qualcun altro senza nulla pretendere in cambio, se non amore o, quanto meno, d' essere accettato. Shylock non usa il denaro, come gli altri, per ottenere amore. Per il denaro egli non vuole che denaro. Ma come rappresentante dell' usura, o della sete di giustizia, egli finisce con l' esserlo, indirettamente, della grazia che nei cristiani è presente in modo ipocrita. Alla critica dell' usura Shakespeare contrappone la critica del dono. Così (questo non lo avevo mai notato) non è casuale se Shakespeare nomina per tre volte Giasone. «Noi siamo i Giasoni che hanno conquistato il vello d' oro» dice Graziano, l' amico di Antonio e Bassanio. Cosa e quale sia il vello d' oro non si sa. Non si sa neppure se Medea sia Porzia o non, piuttosto, lo straniero, l' ebreo Shylock. Ma è certo che a Civica da, direi, vero critico marxista, non interessano tanto i singoli personaggi in se stessi quanto il campo di forze (emotive e politiche) che si stabilisce tra di loro.
Franco Cordelli