di Luigi Lo Cascio
liberamente ispirato all'Otello di William Shakespeare
regia Luigi Lo Cascio
scene e costumi Nicola Console e Alice Mangano
musiche Andrea Rocca
luci Pasquale Mari
con Vincenzo Pirrotta e Luigi Lo Cascio
Valentina Cenni, Giovanni Calcagno
produzione Teatro Stabile di Catania, E.R.T. Emilia Romagna Teatro Fondazione
Catania, Teatro Verga Stabile di Catania dal 20 febbraio al 16 marzo 2014
Un avvertimento per le donne coniugate con generali, boss, manager e uomini di comando. Cercate di non smarrire niente di ciò che vi appartiene. Non un pettine, né un rossetto e neppure un fazzoletto. Perché male ve ne incoglie. Infatti se l'oggetto in questione viene sventolato sotto il naso dei vostri mariti, attizzando in loro il germe della gelosia da colui o coloro che non hanno avuto riconoscimenti o avanzamenti di carriera, elargiti invece ad altri concorrenti, l'oggetto potrebbe essere utilizzato come prova della vostra infedeltà e le vostre vite potrebbero finire in un niente su un letto sfatto con la gola affogata o tagliata da una parte all'altra. E' quanto accade giusto 410 anni fa nell'Otello di Shakespeare, allorquando Cassio viene promosso luogotenente da Otello al posto di Jago relegato a semplice attendente. Non può Iago ingoiare il rospo. Deve in qualche modo vendicarsi, difendere il suo pupo. Ed ecco inventarsi una storia, propiziata da un semplice fazzoletto ricamato finito nelle mani di Cassio, presunto amante di Desdemona. Quello scorpione inoculerà il veleno della gelosia ad Otello che, pur amando alla follia la sua Desdemona, le stringerà le mani attorno al collo affogandola e poi a sua volta si suiciderà con un pugnale. Un uxoricidio fra i più famosi della letteratura teatrale, passato ai giorni col brutto vocabolo di "femminicidio", generato spesso da uno dei sentimenti più mostruosi, la gelosia appunto. Luigi Lo Cascio che interpreta Jago come fosse Gregor Samsa della Metarmofosi di Kafka, ma anche il "Lucky" di Aspettando Godot di Beckett, imbracato ad un tratto in una lunga corda tirata da "Pozzo", e che cura pure la regia dello spettacolo andato in scena con successo e molti applausi nel Teatro Verga (repliche sino al 16 marzo e poi al Biondo di Palermo), ha letteralmente scompaginato la tragedia del Bardo, anche se è ad essa che s'ispira, riducendo il lavoro a soli quattro personaggi che dialogano tra loro (tranne la Desdemona di Valentina Cenni che si esprime in lingua e somigliante quasi ad una donzelletta leopardiana) in un dialetto siculo vicino alle poesie di Buttitta, alle pièces di Scaldati e ai "cunti" del puparo Cuticchio, chiudendo lo spettacolo con un omaggio all'Orlando furioso di Ariosto, catapultando Otello sulla luna a cavallo dell'ippogrifo con in faccia un cielo luccicante di astri. E' un Otello di due ore senza intervallo che inizia con un video, in cui dei bachi da seta daranno la materia prima per comporre poi quel maledetto fazzoletto, intessendovi Lo Cascio un "cuntu" che sa di esoterico e di magico. E' un Otello con una scena nuda attraversata solo da pedane lignee (scene e costumi sono di Nicola Console e Alice Mangano) e da immagini che s'adagiano su un velatino grande quanto il boccascena, in cui s'è già consumata la tragedia; ed è il soldato di Giovanni Calcagno a raccontare al pubblico il "cuntu", in cui i termini più gettonati sono onestà e vinnitta ( vendetta). E' un Otello, quello di Vincenzo Pirrotta, che non ha bisogno di tingersi di nero, debordante nella voce e irruento nel corpo, quasi uno Shrek se solo fosse tinto di verde, carnale, dolce e vendicativo, ingenuo come un bambino che si fa abbindolare da un genio del male che persegue solo il suo tornaconto, infischiandosi d'avere davanti un cristallo puro come Desdemona.
Gigi Giacobbe