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PA' – drammaturgia Marco Tullio Giordana, Luigi Lo Cascio

"Pa'", drammaturgia Marco Tullio Giordana, Luigi Lo Cascio. Foto Serena Pea "Pa'", drammaturgia Marco Tullio Giordana, Luigi Lo Cascio. Foto Serena Pea

drammaturgia di Marco Tullio Giordana, Luigi Lo Cascio
da testi di Pier Paolo Pasolini
con Luigi Lo Cascio e la partecipazione di Sebastien Halnaut
scene e disegno luci Giovanni Carluccio
costumi Francesca Livia Sartori
musiche Andrea Rocca
si ringraziano gi eredi di Pier Paolo Pasolini Maria Grazia Chiarcossi e Matteo Cerami, la casa di moda Missoni e Maurizio Donadoni
produzione Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale
teatro Nuovo, Verona, dal 22 al 27 novembre 2022

www.Sipario.it, 27 novembre 2022

Nello splendido spazio del buio-luce del Teatro Nuovo di Verona la figura di Pier Paolo Pasolini si muove circospetta, ansiosa e già straziata in un mondo che fatica a comprendere, tale è la sua grandezza, la sua sensibilità. Nella messa in scena, bellissima, di Marco Tullio Giordana che assieme al protagonista Luigi Lo Cascio firma la drammaturgia, basata su testi poetici del grande intellettuale, la sua anima e il suo corpo vigilano attenti ma dolenti in uno sfilacciato vivere del Novecento, già minato (anche se mai come ora, chissà cos’avrebbe detto Pasolini) e già ferito, prima del boom economico, e nel bel mezzo degli anni difficili, i Settanta. Pa’, come veniva affettuosamente chiamato dai ragazzi di vita e non solo, reagisce all’avversità dell’anima attraverso le sue poetiche visioni, unica forma di sopravvivenza assieme ai momenti che i ragazzetti delle borgate gli possono offrire, celesti scenari umani che placano, pagandone un prezzo moralistico e condannatorio, diffamatorio, il pegno. Ma prima ancora, i ricordi del suo speciale rapporto con la madre Susanna, di Porzus, del fratello Guido in prima linea, che fa della sua sofferenza un canto unico, speciale. Entrando dalla platea nel cono di luce Pa’ s’incunea negli animi di tutti noi spartendo la delicatezza, la sofferenza. Dal coraggio amorevole della madre a Guido, il suo è un mondo tormentato che “diventa” madre, figlio, fratello, terra. Sul fondo, le magnifiche musiche, da lontano, di Andrea Rocca portano nel distacco di Pasolini dalla società, nel suo essere simbolicamente condannato quasi fin da subito. Guido muore per la libertà, in una verde collina (le efficienti scenografie sono firmate da Giovanni Carluccio), ed è un miscuglio di sentimenti, un prepararsi alla vita. Poi, dopo la guerra, arriva Roma, divina e ossessiva, sgraziata ugualmente ma amata, dove Pasolini inizia a scrivere i romanzi partendo proprio da quelle borgate periferiche che lo hanno già conquistato, la sua vicinanza alla gente comune. Nonostante le frequentazioni intellettuali e artistiche il poeta è ammaliato da un mondo sincero e spartano, dove conta il sopravvivere, contano alcuni valori che fra loro sembrano in conflitto ma che narrano un universo di “pura luce”. Che si perpetua giorno dopo giorno, attimo dopo attimo. E’ come se pian piano Pa’ scoprisse il suo destino, e prima ancora, quello del mondo, della società che verrà anticipandone la conoscenza e la divulgazione attraverso i suoi scritti. “A Pa’, vie’ a tira’ du calci”, lo esortano i ragazzetti, sole anime nobili e pure, anche invitanti allo scambio carnale. E’ la fragilità di Pier Paolo quella che va in scena, il suo continuo chiedersi di se stesso e del mondo, in un muoversi delicato come un fiore in mezzo alla discarica, con mobili dismessi e lavatrici consumate nel baratro cittadino della monnezza disordinata della capitale, alternando bagliori e oscurità togliendogli la pace, “come il pane ai poveri”. Fino all’epilogo visto da se stesso, da un altro io, un altro spazio, guardando l’automobile che gli è appena passata sopra, lancinante, annientato, così straordinariamente uguale a quel momento. I giovani compagni di vita delle borgate sono interpretati via via da Sebastien Halnaut che ha presenza, spirito. La regia di Giordana è intima e delicatissima ma ancorchè potente, diretta, solo in un paio di situazioni fa estremizzare l’interpretazione. Ma è una scena dove Luigi Lo Cascio si muove straordinariamente bene, confermando di essere sempre un gigante, un vanto italiano nel mondo, che qui incarna Pa’ e le sue inquietudini. Le sue sfumature sono regali prelibati per l’ascolto, la visione.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Domenica, 27 Novembre 2022 17:10

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