di Enrico Castellani e Valeria Raimondi
con Maurizio Bercini, Olga Bercini e Zeno Bercini
direzione di scena di Luca Scotton
musiche originali Lorenzo Scuda
produzione Babilonia Teatri – La Corte Ospitale, Teatro al Parco, Parma, 29 ottobre 2022
Padre nostro è una preghiera, è una preghiera al padre, è una preghiera su un padre, è una preghiera laica, è un dialogo mai iniziato e spesso cercato. Padre nostro è quello che i figli dicono di loro padre, è quello che i padri – forse – vorrebbero sentire nel segreto delle camerette dei loro figli. Padre nostro di Enrico Castellani e Valeria Raimondi è un dono a Maurizio Bercini, è materia incandescente che mette in scena un padre vero, Maurizio, con i suoi due figli adolescenti: Olga e Zeno, anch’essi figli davvero e non per finta. È questo un aspetto non secondario nella fruizione dello spettacolo che ha tutti i crismi e gli stili del teatro dei Babilonia: una prosa ritmata e rappata, un uso drammaturgico delle musiche, lo spazio astratto che si disegna con la posizione dei corpi, quadri che sostengono invettive, elegie, scontri e incontri verbali ma pesanti come corpi che s’abbandonano a verità scomode e sputate in faccia. Un portacandele, di quelli con le candele elettriche che pian piano si accendono: al centro papà Bercini ai lati i figli. E parte il monologare incazzoso dei due ragazzi e del padre. Le parole sono taglienti, l’elogio del padre maestro, ma che può divenire un tiranno, la gioia di essere padre, salvo poi scoprire che educare costa fatica e uno strisciante senso di impotenza, a volte. In tutto questo, nella costruzione per ossimori, iperboli, ragionamenti per assurdo della scrittura di Raimondi/Castellani c’è qualcosa di più: c’è il gusto di tornare a guardarsi negli occhi, con sincerità, senza mediazioni, ma anche con a forza urticante delle cose che non ci si è mai dette. Padre nostro di Babilonia Teatri, anche in questo gioco, sa astrarre il dato biografico, per puntare a discorso universale, a elzeviro su un padre che a tratti appare come un autentico pezzo di merda: autoritario per debolezza, permissivo per convenienza, forse il padre più bimbo dei suoi ragazzi. E allora i colti, forse, parlerebbero di evaporazione del padre, citando Lacan. Maurizio Bercini è un padre da sezionare come certi buoi o maiali, è carne da macello, ma è anche corpo sacrificato e sacrificale. Ma alla fine è pur sempre un papà, bello o brutto, cattivo o buono, un uomo che s’eterna nei suoi figli e che i figli non smettono di vedere come campione, l’uomo sul gradino più alto del podio, in una gara a vivere in cui in palio è solo, semplicemente l’insaziabile voglia di amare o l’incapacità di farlo. Applausi affettuosi da parte di una platea gremita e familiare.
Nicola Arrigoni