di Maurice Hennequin e Pierre Veber
regia di Massimo Castri
con Marco Brinzi, Giorgia Coco, Francesca Debri, Michele Di Giacomo, Federica Fabiani, Alessandro Federico, Vincenzo Giordano, Diana Hobel, Alessandro Lussiana, Davide Lorenzo Palla, Antonio Giuseppe Peligra
scene e costumi di Claudia Calvaresi, musiche originali di Arturo Annecchino
luci di Robert John Resteghini, suono di Franco Visioli
regista assistente Marco Plini, assistente alla regia Thea Dellavale
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione e Teatro Stabile dell'Umbria
al Ponchielli (Cremona) 19-20 gennaio 2010
Prendete una spregiudicata e maliziosa soubrette, un irreprensibile magistrato di provincia, l'arrivo improvviso di un ministro della giustizia dagli irrefrenabili appetiti sessuali. Si aggiungano gli immancabili equivoci e uno spazio scenico che muta per pochi segni, con vie di fuga sei porte da cui escono ed entrano i personaggi. Fate dirigere a un regista di razza come Massimo Castri un vaudeville e avrete La Presidentessa, uno spettacolo che si beve tutto d'un fiato, in cui il divertimento del pubblico e la grammatica del teatro vanno di pari passo, in cui l'apparente 'fedeltà' testuale messa in atto dal regista nasconde un atto politico affidato all'elaborazione autonoma dello spettatore. La pièce di Maurice Hennequin e Pierre Veber è un meccanismo perfetto, è un ingranaggio ad orologeria che Massimo Castri affida ad un gruppo di giovani e giovanissimi attori, al termine del corso di formazione di Emilia Romagna Teatro. L'esito di quello che potrebbe definirsi un saggio di scuola è divertente, ben fatto, una vera sorpresa. Due ore e mezza di battute, di relazioni consumate su un divano, di intrecci sentimentali al limite della verosimiglianza volano via in un soffio. L'intricata trama de La Presidentessa è un gioco pirotecnico di trovate che fanno sorridere, stupiscono nel loro essere un po' demodé eppure così eterne nel loro compiersi. Il vaudeville per Massimo Castri è una sorta di prova d'esame, è un lavoro intelligente di ripasso dei fondamentali del teatro, in cui l'attore è corpo in funzione di un ritmo, di una coralità che va rispettata, di un porgere la battuta perché scoppi la risata. Su questo versante della semantica Castri lavora con intelligenza e mestiere e sopperisce alla natura acerba e giovane degli interpreti accentuando gli aspetti grotteschi e comici di questi personaggi da operetta che descrive e fa muovere con fare farsesco, con eccessi di toni e di colori, quasi sottraendoli volutamente ad ogni tentazione realistica. L'impostazione è efficace e di buona tenuta; questo per quanto riguarda l'aspetto formale e linguistico di questo insolito e bel vaudeville, firmato da Massimo Castri. Nel riferimento a una magistratura irreprensibile ma che non esita a frequentare i caffè concerto, nel riferire di una soubrette che ai giorni nostri potrebbe essere una delle escort balzate agli onori delle cronache, nel mostrare un ministero che assomiglia più che altro a un bordello ci sarebbe di che affondare il coltello nella satira e nei riferimenti all'oggi. Massimo Castri lascia — come sua abitudine — che a parlare sia il testo, che i paragoni siano fatti dallo spettatore e si limita (ma che eccelso limitarsi!) alla forma, regalando un esempio intelligente di altissima qualità teatrale. E in questo è ravvisabile l'atto politico che sta nell'aver scelto quel testo che parla della corruzione godereccia di una Parigi che ama vivere, corruzione e prostituzione dei corpi per l'avanzamento di carriera che La Presidentessa racconta con leggerezza e che Castri si limita a mettere in scena con tutto il rispetto del contesto e della tradizione, lasciando allo spettatore o meglio suggerendo ogni possibile paretela col presente. Massimo Castri e i suoi ragazzi mostrano cosa voglia dire mettere in scena un testo che vive per il suo meccanismo, che vive nel suo dirsi, costruiscono uno spettacolo che s'inserisce nella tradizione, che mostra il vaudeville nel suo essere, racconto di un teatro d'altri tempi che sa divertire, insegna l'abc dell'arte scenica a chi lo fa con qualche riflessione ironica sull'oggi.
Nicola Arrigoni