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PARIGINA (LA) - regia Massimiliano Civia

La parigina La parigina Regia Massimiliano Civia

di Henry Becque
regia: Massimiliano Civia
con Monica Piseddu, Gabriele Benedetti, Mirko Feliziani e Aldo Ottobrino
Roma, Teatro India, dal 29 maggio al 3 giugno 2007

Avanti, 5 giugno 2007
Nient'altro che una lacrima

Nient'altro che una lacrima traccia il viso di Clotilde. Una lacrima che sembra uscire da occhi non appartenenti a quel volto inespressivo. Solo questo a mostrare il dolore. Eppure di dolore nel cuore della "Parigina" deve essercene tanto, o almeno deve esserci stato, ma è un dolore che non si esterna, non vive. La stessa sofferenza che c'è, ci deve essere, nel cuore di Du Mesnil, suo marito, e in quelli stracciati degli amanti di lei, Lafont e Simpson. Ma anche loro non manifestano niente, se non nelle parole: e lì è tutto chiaro. Ogni frase di Lafont dice di un amore ormai finito che vorrebbe andare avanti e invece non può più, forse distrutto dalla sua gelosia e le incertezze, la volubilità di lei passata ad una relazione extraconiugale con l'amico di una sua amica, Simpson. Lafont e Simpson, legati al marito di lei, uno perché suo amico, l'altro perché figlio di una donna che permetterà a Du Mesnil di ottenere l'esattoria per la quale tanto aveva lavorato, sono solo due poveri amanti per le giornate vuote di Clotilde, povera amante anch'essa in una vita senza slanci emotivi con l'amore, il dramma dell'amore, solo in quelle parole piatte e affilate, terribili e educate, senza speranza, definitive e indecise. Questa è solo un'ordinaria storia di tradimenti quotidiani. Un bacio sulla guancia, un saluto, una separazione e un ritorno, quello di Lafont lasciato da Clotilde dopo la fugace relazione, il tempo di ottenere la raccomandazione per il marito, con Simpson che l'abbandonerà perché non si sentirà alla sua altezza, lei in un bell'appartamento di Parigi, lui in una misera soffitta fredda di provincia in cui si vergogna di ospitarla (forse il doppio dell'autore che morirà di stenti proprio in una soffitta). "La Parigina" (andato in scena nei giorni scorsi al Teatro India di Roma), scritto nel 1883 dal francese Henry Becque, è, nella messa in scena di Massimiliano Civica, un'esemplare dimostrazione della noia dell'amore matrimoniale e del quasi obbligato tradimento, anch'esso con la sua noia. La noia di relazioni che se avevano della passione l'hanno perduta. O meglio, non è che l'abbiano perduta, l'hanno soffocata, appiattita, resa routine, quindi inesprimibile, se non in quelle parole che private dell'espressione sono solamente letture di sentimenti. Per ciò gli interpreti, Monica Piseddu, Gabriele Benedetti, Mirko Feliziani e Aldo Ottobrino, sono inespressivi come attori di Philippe Garrel sfiniti: perché la vita sentimentale tutta è diventata lettura dei sentimenti senza interpretazione. Si legge il proprio dolore come si legge un libro. Un copione teatrale senza messa in scena emotiva (pur soffrendo ad ogni parola) che diventa allora la sola rappresentazione possibile quando ogni cosa si è asciugata. A parte la lacrima di Clotilde. "C'è di tutto nelle lacrime di una donna" ripete lei. E c'è davvero tutto perché quella lacrima è una tempesta in un mare in calma piatta che crea onde sottomarine che mai arrivano in superficie. Stanno seduti su sedie come quelle della platea, marito e un amante, quando lei è in piedi con un altro dei due suoi amori clandestini e illustra, illustrano e vivono, per quel che si può, la loro relazione. Senza partecipare. Aspettando il proprio turno. Uguale a quello di prima. Replicato anche in battute identiche che terminano e ricominciano da capo, quasi che tutto non fosse che ripetizione. "La Parigina" di Massimiliano Civica è ripetitivo e tedioso, inerte proprio come lo sono tante storie del genere. Amori da lettura, da tutto già accaduto e niente accadrà mai più, tutto ordinario perché così vanno le cose. Becque lo sapeva bene e Civica l'ha capito benissimo costruendo un'efficace e significativa regia spoglia e priva di tutto, riempita solo dagli attori vestiti tutti uguali di nero – giacca, pantaloni e maglietta, sandali –: altri vuoti pieni di parole costrette nei loro sentimenti senza toni alti, solo un leggero tenersi per mano, un bacio sulla guancia, un sussurro in un paio di momenti, senza contatto né lacrime. A parte quell'unica sulla guancia di Clotilde. Ma "c'è di tutto nelle lacrime di una donna".

Sergio Gilles Lacavalla

Ultima modifica il Martedì, 24 Settembre 2013 07:52

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