di Eduardo De Filippo
personaggi e interpreti:
Pasquale Lojacono: Gianfelice Imparato
Maria, sua moglie: Carolina Rosi
Alfredo Marigliano: Massimo Di Matteo
Armida, sua moglie: Paola Fulciniti
Silvia, loro figlia: Federica Altamura
Arturo, loro figlio: Andrea Cioffi
Raffaele, portiere: Nicola Di Pinto
Carmela, sua sorella: Viola Forestiero
Gastone Califano: Giovanni Allocca
Saverio Califano, maestro di musica: Gianni Cannavacciuolo
Maddalena, sua moglie: Carmen Annibale
Due facchini: Gianni Cannavacciuolo, Andrea Cioffi
regia Marco Tullio Giordana
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Francesca Livia Sartori
musiche Andrea Farri
Al Teatro Manzoni di Pistoia dal 4 al 6 novembre 2016
PISTOIA - Il matrimonio è da sempre una dinamica assai dibattuta in ambito sociologico, quale sia la fiamma che lo tiene in vita, e come accade che all'innamoramento subentri la vuotezza dell'abitudine. Nel 1945 Eduardo Filippo trasportò queste riflessioni su uno scenario tipicamente napoletano, sovrapponendolo alla capacità dei suoi conterranei di presentire la dimensione soprannaturale, al loro rapporto confidenziale (potremmo dire) con la morte e le anime dell'aldilà. Questi fantasmi è una commedia dolceamara sul matrimonio, e un'occasione di ragionamento sulla cultura napoletana più intima: l'ingenuo Pasquale Lojacono scova l'occasione di affittare gratuitamente un appartamento in via dei Tribunali, storico e affascinante cuore di Napoli, con il progetto di adibirlo a pensione, in modo da poter finalmente avviare un'attività lucrativa. Tuttavia, l'appartamento nasconde un mistero: sarebbe infatti visitato ogni notte dai fantasmi di due amanti, murati vivi attorno al Settecento in una delle camera dal marito tradito, un aristocratico spagnolo. Unica condizione per Pasquale, farsi notare dai vicini di casa, in modo da far loro capire che l'appartamento è abitato da comuni mortali e non dai fantasmi. L'uomo accetta, e investe gli ultimi suoi averi nell'acquisto della mobilia.
Dai suoi colloqui con Raffaele, il portiere dello stabile, emerge il contrasto fra i due uomini e un bello spaccato della cultura napoletana. Nicola Di Pinto dà vita a un Raffaele simpaticamente a metà fra l'amico di famiglia e il grande anfitrione, sempre pronto a mettersi al servizio di ognuno e a raccontare la strana storia dei fantasmi, cui lui sinceramente crede. Gianfelice Imparato è invece un intenso Pasquale Lojacono, elegante e signorile pur nelle sue ristrettezze, scettico e a suo modo epicureo, un po' sullo stile di (Luciano De Crescenzo); dai loro concitati dialoghi scaturisce il fatalismo appena doloroso con cui a Napoli si affronta l'esistenza: si confidano riflessioni sulle difficoltà quotidiane (ricordiamo che siamo nell'immediato dopoguerra), e sul bisogno (espresso da Raffaele) di avere un rapporto con le anime dell'aldilà, buone o cattive che siano, per stringere con loro una sorta di patto, fra l'alleanza e la protezione. Un'idea che si fa più profonda nel personaggio di Carmela, interpretato da Viola Forestiero con piglio fra l'ironico e il drammatico: è infatti una bizzarra donna un po' stranita, vuoi per carattere vuoi per l'età, in perenne sospensione fra coscienza e trance, ed è infatti a lei che i fantasmi si sono manifestati. Timida e spaurita, dà l'idea di un uccello del paradiso che strizza le piume dopo ogni temporale.
L'espediente del fantasma è però utile come premessa per il successivo intreccio della commedia: nella miglior tradizione di Scarpetta (mutuata da Molière), De Filippo intreccia una godibile commedia degli equivoci che funge da sfondo per l'indagine del tema matrimoniale. Dichiaratosi scettico sui fantasmi, Pasquale cambia repentinamente idea quando vede Alfredo, l'amante della moglie, uscire dal salotto; senza esitazione, ritiene sia lui il famigerato fantasma, e, fra l'allibito e lo spaventato, lo lascia passare senza rivolgergli la parola, come del resto Alfredo fa con lui.
Massimo Di Matteo dà vita a un amante passionale e virile, ben deciso a strappare Maria (consorte di Pasquale), al buono ma ingenuo marito. E conoscendo le sue difficoltà economiche, ogni volta che lascia la casa lascia nella tasca della giacca dell'uomo una piccola somma, con la quale Pasquale provvede alle spese di casa, in attesa dei primi clienti. Somme che l'uomo crede provengano per intercessione del "fantasma", e di questo ne parla in maniera commovente a Raffaele, facendo trasparire il bisogno di un rapporto con l'aldilà. Anche perché, la sua vita è tutt'altro che felice: da tempo ha infatti perso il dialogo con l'amata moglie, interpretata dalla brava Carolina Rosi, nella parte di una donna passionale, che ama la vita e il buon vivere, delusa dall'ingenuità del marito e risentita del fatto che, pur vedendo arrivare in casa tanto denaro, non si chieda da dove provenga. Il chiarimento fra i due coniugi non arriva, nonostante un toccante confronto, dove Maria urla la sua femminilità offesa; Pasquale non spiega la sua convinzione, e la donna pensa che la stia solo sfruttando.
Pur con uno sfondo comico, De Filippo affronta il tema dell'incomunicabilità e della distanza fra individui, che lo avvicina a Pirandello e lo spoglia di quella riduttiva etichetta di autore comico che spesso gli viene erroneamente assegnata.
Per capire il carattere di Pasquale, è fondamentale la scena in cui prende il caffè sul balcone, parlando con un vicino (che in scena non appare): si sofferma con affetto su ogni particolare della preparazione, dalla tostatura alla bollitura della polvere; gesti atavici e sempre uguali, compiuti con la grazia di chi si accinge a un rito sacro, piccoli piaceri da godere in solitudine o quasi, che, da buon epicureo, lo ripagano di una vita di stenti. La commedia prosegue su un tono tragicomico, e il fato vi gioca una parte importante. Il cognato di Alfredo, Saverio, convince l'uomo a tornare dalla sorella e cessando l'arrivo di quelle piccole somme di denaro, Pasquale si sente abbandonato da quello che considera il suo spirito protettore. In realtà, dopo due mesi di assenza, Alfredo torna da Maria chiedendole di partire con lui; la donna accetta. Ma Pasquale organizza un ultimo, commovente tentativo di restare in contatto con il suo professore: ha fatto credere alla moglie di partire per un breve viaggio, e quindi, nella sera della sua assenza, Alfredo verrà a prendere Maria. Invece, Pasquale si apposta sul balcone, e non appena vede Alfredo, gli rivolge un appello che ha tutto il sapore di una preghiera, forse un po' pagana eppure devota; mette a nudo la sua anima di uomo onesto ma sfortunato, che non riesce a trovare clienti per la sua pensione, e costretto a far vivere nelle ristrettezze anche la moglie che pure adora. Pertanto, implora il "fantasma" di porgergli ancora un aiuto economico. Commosso da tanta devozione verso la moglie, Alfredo comprende di nona vere il diritto di possedere Maria, e per la prima volta parla a Pasquale, presentandosi come un'anima vagante che ha finita la sua pena, e lasciandogli una generosa somma di denaro, la stessa che avrebbe usato per fuggire con Maria. La quale, vedendo il marito così contento mentre conta i soldi, rinuncia a fuggire comprendendo la sua ingenuità.
E quando, ancora il vicino di casa gli spiega che il fantasma potrebbe apparire ancora, Pasquale, che forse potrà risolvere i suoi guai, si augura che ciò accada.
La regia di Marco Tullio Giordana resta fedele al testo originale di questa commedia sull'esistenza, con le sue miserie, gioie e illusioni, vissuta alla maniera napoletana, ovvero con un po' di fatalismo, un po' di passionalità e una buona dose d'ironia. Il mantenere il registro linguistico che in larga parte è giocato sul napoletano, contribuisce alla schiettezza delle scene, coadiuvato dalla scenografia che riproduce un tipico interno napoletano della metà del Novecento, ancora legato al gusto ottocentesco della tradizione. Una corda che unisce le due barcacce dell'ultimo ordine, e dalla quale pendono alcuni abiti stesi ad asciugare, trasmette tutto il calore popolare dei Quartieri Spagnoli o del Pallonetto Santa Lucia.
Con vena comica che avvolge una profonda riflessione sulla vita, il testo di De Filippo regala al pubblico uno spaccato del popolo napoletano, vivace come un'incisione del Pelliccia e delicato come una tela di Gigante o Palizzi; dalla vicenda emerge l'ingenua bontà dell'individuo napoletano, che si spinge fino all'ingenuità, della quale anche Malaparte scrisse nel suo La pelle; una bontà atavica spesso fraintesa, o oscurata da realtà purtroppo diametralmente opposte.
Il regista ha il merito di dirigere con discrezione l'azione corale degli attori, e di far loro mantenere il concitato ritmo pensato da De Filippo, per riflettere e ironizzare sulle incertezze della vita di coppia. Un tema universale, antico ma sempre nuovo, affrontato con un piglio che riflette il carattere del grandissimo drammaturgo napoletano. Meritati gli scroscianti applausi finali del numeroso pubblico pistoiese.
Niccolò Lucarelli