uno spettacolo di e con Gabriele Lavia
da Jacques Prévert
musiche Giordano Corapi
produzione Fondazione Teatro della Toscana
Firenze Teatro della Pergola, dal 14 al 19 novembre 2017
FIRENZE - "Dire idiozie oggi, quando tutti riflettono profondamente, è l'unico modo per provare la propria indipendenza". Parole di Boris Vian, che però ben ritraggono il pensiero del contemporaneo Jacques Prévert (1900-1977), con il quale condivise quell'anelito di libertà intellettuale in un'epoca - dagli anni Quaranta agli anni Sessanta del Novecento -, in cui l'ideologia sembrava prendere il sopravvento sulla poesia. Il pensiero di poetico di Prévert, invece, si propone di alleggerire la condizione dell'umanità, di farle riscoprire quella gioia di vivere che la Seconda Guerra Mondiale sembrava aver spenta.
Lo spettacolo è un commosso ricordo di Prévert a quarant'anni dalla scomparsa, attraverso un testo pensato dallo stesso Lavia, che un po' è recital e un po' teatro canzone, un po' spettacolo di strada, un po' lezione accademica, un po' personale confessione sul tempo che scorre inesorabile. Uno spettacolo affascinante, che traccia il senso della memoria del tempo, e sottilmente inquieta con il suo suggerire come la vita ci sfugga di mano attimo dopo attimo. Ma le parole scorrono lievi come un acquerello di Jean Baptiste Barla, in questo spettacolo delicato che è un viaggio nella Parigi di Prévert ma anche di Sartre, di Vian, di Gabin, una città intellettuale, certamente, ma anche romantica, curiosa, imprevedibile; un viaggio che esplicita la magia del teatro e della parola.
Costruendo una macchina teatrale che dell'esistenzialismo ha il fascino ma non la durezza, Lavia dialoga con il pubblico, lo prende per mano e lo accompagna in un viaggio straordinario, fatto di tenerezza, poesia, suoni, colori, oscurità, amarezza, filosofia; si potrebbe dire che, da autentico istrione del palcoscenico, si prende il lusso, citando Prévert, di discettare sull'esistenza, di suggerire un qualcosa che possa contribuire a farla scorrere serenamente. E lo fa con le poesie del grande poeta scomparso, cui affianca riferimenti culturali di scuola francese. "Cos'è l'uomo?", si chiedeva Guillaume Apollinaire. È colui che ha ricordi, che ha esperienza di vita, e poiché la memoria viene conservata in maniera diversa da ognuno di noi, sono proprio i ricordi a caratterizzare l'esistenza di un individuo, la sua sensibilità, la sua personalità. E "essere", significa appunto abbracciare tutto nella memoria. Partendo da questo assunto, fra nostalgia e autoironia, Lavia racconta l'influenza che Prévert, gli esistenzialisti, il cinema della Nouvelle Vague, hanno avuto sulla sua generazione, che fu giovane negli anni Sessanta; un decennio in cui l'intellettuale per eccellenza doveva essere "engagé", ovvero impegnato, quasi brutale nel suo anteporre la dottrina alla piacevolezza della vita. Prévert, con le sue poesie, le sue invenzioni linguistiche, le sue frasi sospese, sembra suggerire di come nella vita sia fondamentale mantenere la sfera affettiva, perché una persona esiste anche e soprattutto nei ricordi degli altri, in particolare della persona amata. Ecco quindi spiegato il titolo scelto da Lavia per lo spettacolo, perché il simbolo di quell'epoca sono, a ben guardare, proprio i ragazzi che si amano, coloro che sono capaci di baciarsi in piedi, di farsi trasportare lontano da un'emozione. Dialogando con il pubblico, Lavia precisa come la traduzione italiana presenti in realtà un errore che compromette la comprensione del testo originale: laddove questo recita "les enfants", in Italia si è tradotto con "i ragazzi", quando in realtà si sarebbe dovuto tradurre con "i bambini". Il termine ha natura metaforica, perché Prévert sottintende che in amore si dovrebbe sempre mantenere la purezza dell'infanzia, ovvero quella lealtà incondizionata, quella capacità di emozionarsi quasi senza motivo, quell'incantato scoprire il mondo e gli altri che appunto caratterizzano l'infanzia. Quindi, se per gli esistenzialisti la realtà si riduce alla contrapposizione fra il buio della possibilità e la luce della realtà delle scelte compiute, Prévert lo chiude invece nell'amore fra due individui, l'unico vero baluardo che possa arginare le amarezze che la vita riserva, e che possa mitigare almeno in parte quel peso della responsabilità che l'esistenzialismo ha scoperto gravare sull'umanità. Nelle sue poesie Prévert è alla ricerca di tenerezza, di un mondo dove sentirsi bene, alla stregua di Robert Doisneau quando fotografava Parigi. Nessuno dei due vuole ignorare le problematiche dell'esistenza, al contrario cercano di regalare al modo un qualcosa per affrontarle più serenamente.
Riscuotendo meritati applausi del numeroso pubblico, Lavia si fa mattatore fra parole e note che fluttuano sul palcoscenico come le figure umane in un quadro di Chagall. Con sobrietà, sottovoce come era nello stile di Prévert, Lavia lo omaggia e insieme ci ricorda quanto sia eroico amarsi contro le porte della notte, recuperando la pienezza del senso dell'esistenza, che nella nostra epoca assuefatta alla tecnologia sembra purtroppo andar smarrito giorno dopo giorno.
Niccolò Lucarelli