di William Shakespeare, regia, traduzione, scene e costumi di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani, luci di Nando Frigerio, suono di Giuseppe Marzoli
con Cristian Giammarini, Elena Russo Aman, Sara Borsarelli, Corinna Agustoni, Luca Toracca, Nicola Stravalaci, Vincenzo Giordano, Enzo Curcurù, Alejandro Bruni Ocaña, Camilla Semino Favro e Umberto Petranca
produzione Teatro Dell'Elfo- Puccini,
visto al Ponchielli di Cremona, 10 febbraio 2012
Un po' favola, un po' varietà, un tema da commedia con tentazioni tragiche e alla fine una presunta tragedia che si chiude come una commedia: questo è Racconto d'inverno di William Shakespeare nell'elegante e fluida versione registica di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani. Sono proprio l'eleganza e la fluidità narrativa che si crede ben sintetizzino l'operazione del Teatro dell'Elfo nel proporre con chiarezza e divertito rigore la penultima opera di Shakespeare, pastiche di generi e di situazioni che si riflette con coerenza all'atto scenico. Nel racconto invernale — pensato per far trascorrere in allegria le lunghe notti fredde riscaldate dal tepore del camino o per i più poveri dal fiato degli animali nelle stalle — si narra dell'amicizia fra Leonte, re di Sicilia e Polissene, sovrano della Boemia, dell'improvvisa gelosia di Leonte nei confronti dell'amico fraterno, accusato di aver sedotto Ermione. E ancora: Perdita, la figlia dei sovrani di Sicilia ripudiata e condannata a morte dal padre, ma salvata dal servo fedele e impietosito, l'incontro della fanciulla con Florizel, principe di Boemia, l'amore fra i due: sono questi i tasselli di una serie di storie ad incastri che la regia della coppia De Capitani e Bruni sa scandire con precisione, sa sciogliere con una traduzione efficace che non fa perdere il filo allo spettatore e che finisce addirittura con l'inattesa resurrezione di Ermione, da statua a donna in carne ed ossa, riaccolta dal marito rinsavito dalla gelosia. A tutto questo intreccio di situazioni a tratti paradossali e destinate a sollecitare la meraviglia si aggiunge un gusto scenico che sa giocare con rimandi fiabeschi, si affida ad un'architettura rinascimentale con fondali di vago gusto manierista, mentre i costumi raccontano di un mondo raffinato che dalla ricchezza tipica di certi abiti dipinti dal Giorgione arriva fino a citazioni ottocentesche e ai costumi della rivista dei primi anni del XX secolo. In un certo qual modo l'assommarsi di generi: tragedia, commedia, farsa, pastorale contenuti nel testo shakespariano si riflette nella natura composita della messinscena che non manca di citare — con quel sole giallo e l'agitarsi delle onde — la celeberrima Tempesta di Giorgio Strehler, non a caso l'opera che segue il Racconto d'inverno, nella biografia compositiva delle opere shakespeariane. Tutto ciò è orchestrato da De Capitani e Bruni con leggerezza con qualche concessione ad una recitazione di maniera e a un racconto che appare un po' di facciata e che soprattutto nel suo approccio didascalico/esplicativo rischia la prevedibilità di un teatro di maniera che assegna e svela ogni particolare senza quel ricorso all'allusione che è lo scarto proprio della creatività.
Nicola Arrigoni