con Barbara Valmorin, Fabio Bussotti, Federica Bern
regia Werner Waas
Teatro Nuovo Colosseo, Roma dal 28 marzo al 15 aprile 2007
Il teatro Colosseo trasloca, a pochi metri dall'antica sede, ma ora c'è l'occasione per vederlo animarsi mentre è ancora in fase di allestimento. Poltrone rosso fiammanti dentro un moderno cantiere, per incontrare Renata (da martedì fino a domenica 15). La donna di quel nome è un testo nuovo di zecca di Paolo Musio, più noto come attore, che l'ha scritto e pensato per il corpo di attrice di Barbara Valmorin. Ci sono molti dati di lei che potrebbero evocarne la biografia, a cominciare dal suo impegno politico coerente, che è documentato dal '68 in poi dalle foto bellissime di Mario Dondero, mentre risuonano canti commoventi perduti nella memoria. Però, nello spettacolo diretto da Werner Waas, non è la biografia spicciola a dominare, quanto un gioco di ruolo più sottile, e più interno alla vita di ogni attore. Nella sua maturità che si confronta abitualmente con le riflessioni di un portiere/procacciatore di bottiglie/filosofo (Fabio Bussotti), alla Renata del titolo succede un fatto doloroso, la morte del marito. Un po' per amore un po' per sopravvivenza, lei imbocca la strada teatrale del prenderne gli abiti, il posto in ufficio, insomma il ruolo comprese le relazioni. Fino a scoprire il rapporto, ambiguo ma consistente, che con la giovane collega (Federica Bern) intratteneva il marito, senza che lei ne sapesse nulla. È così che quel travestimento in grisaglia diviene l'espediente assoluto e senza prezzo del teatro, compresa l'amarezza delle scoperte che ogni attore ogni sera può fare, fingendosi altro da sé. Fino al gettare la maschera, ovvero l'identità maschile per Renata, e il disorientamento e la reazione della ragazza.
Per Barbara Valmorin è una sorta di «serata d'onore» in cui però, rispetto ai «numeri» che le signore della scena una volta esibivano, qui la metafora del teatro e dell'identità lascia inquieti gli spettatori, davanti ai cassetti della memoria e del travestimento.
Gianfranco Capitta
L' autore, Paolo Musio, così parla del suo testo «Renata»: «L' ho scritto in parte in un inverno di lavoro a Milano e in parte in primavera a Roma, camminando per le strade o seduto su qualche gradino o appoggiato alle macchine parcheggiate ovunque. A volte in qualche scintillante e silenziosa mattina lungo le rive del lago di Bracciano... Avevo ragionamenti da fare ad alta voce e vibrazioni intime di cui volevo ascoltare le risonanze». È la descrizione assai precisa della genesi di un testo in cui l' ispirazione lirica prevale su quella drammaturgica: non già, tuttavia, su quella drammatica. Renata è la storia di una vedova che in certo senso parla da sola, benché si rivolga ad altri, al barista suo amico Gino, o a Iris, una centralinista amica del marito scomparso Pietro; o, in altro senso, parla per due, parla per se stessa e per Pietro, del quale ha deciso di indossare i panni, anche in senso fisico. È come se volesse nascondere la sua morte agli altri, al circostante mondo. È come se, in uno spasimo di appropriazione del passato e di cancellazione del presente, osasse mesmerizzare la vita propria e altrui. Anche il suo lutto è duplice. È il lutto per la perdita di Pietro ed è il lutto per la perdita di idealità civili (così le chiama Musio) che nel mondo contemporaneo non hanno più corso, vistosissimo fu il loro fallimento negli anni della giovinezza di Renata e di Pietro. Di questa elegia, che va progressivamente inaridendosi come, si può supporre, l' animo di Renata con l' avanzare della solitudine e la sua ineluttabile coscienza, il regista Werner Waas, al teatro Nuovo Colosseo, coglie il risvolto appunto drammatico, intimamente doloroso, inquadrandone i frammenti in una serie di cornici, dentro le quali parlano e agiscono i personaggi. Le cornici, e gli altri oggetti di scena, sono mobili, impalpabili, sfuggenti. Cercano, invano, di fissare un mondo precario, perduto. Barbara Valmorin è l' intensa protagonista. Le tengono bravamente testa Federica Bern e Fabio Bussotti. «RENATA» di Paolo Musio al Nuovo Colosseo, fino al 15 aprile
Franco Cordelli