regia Yael Ronen
Titolo originale: "Der Russe ist einer, der Birken liebt"
di Olga Grjasnowa, adattamento teatrale di Yael Ronen
Con: Mehmet Ateşçí, Knut Berger, Anastasia Gubareva, Orit Nahmias, Tim Porath, Dimitrij Schaad, Thomas Wodianka
Regia: Yael Ronen
Scena: Magda Willi
Costumi: Esther Krapiwnikow
Video: Benjamin Krieg
Musica: Yaniv Fridel / Dimitrij Schaad
Drammaturgia: Irina Szodruch
Berlino, Teatro Maxim Gorki, dal 16 novembre 2013 al 18 settembre 2014
Un enorme tronco di betulla rovesciato domina il palcoscenico, trasformandosi ora in giaciglio, ora in discoteca, ora in stanza d'ospedale. La sua funzione è esclusivamente scenografica. Dell'immagine čechoviana della betulla quale simbolo di "slavità" nessuna traccia. Eppure non ci stiamo ingannando: con il titolo I russi amano le betulle Grjasnowa e Ronen stanno indubbiamente citando il dramma Le tre sorelle di Anton Pavlovič Čechov, nel quale il tenente colonnello Veršinin vede nelle betulle proprio un'incarnazione di "slavità", una materializzazione della cosiddetta "anima russa".
Inserendo la celebre citazione in uno statement stereotipato e conferendo alla betulla sulla scena una mera funzione materiale, gli autori mettono a nudo la dinamica di formazione del cliché e suggeriscono come anche la letteratura possa contribuirvi. Chi sperava in qualcosa di "autenticamente russo" è nel posto sbagliato. E questo semplicemente per il fatto che l'autenticità russa, così come la rigidità musulmana o l'intransigenza tedesca esistono esclusivamente nelle nostre teste.
Nemmeno la stessa protagonista, Maša, contrariamente a quanto suggerito dal suo nome di battesimo o dall'abitudine a indossare tacchi a spillo, è per così dire "autenticamente russa". Vive a Francoforte, frequenta l'università, parla perfettamente cinque lingue straniere e sogna di lavorare all'ONU. Arriva in Germania ancora bambina, in fuga con i genitori dall'Azerbaigian dilaniato dal conflitto di Nagorno Karabakh. Maša non si sente né azera né tedesca, ebrea neanche a parlarne, fugge qualsiasi tipo di legame e cerca di sottrarsi alle "etichette" di cui la società non riesce proprio a fare a meno.
Maša non è sola nella lotta contro il luogo comune: Yael Ronen porta in scena sette diverse identità che mettono in discussione gli stereotipi dell'immaginario collettivo e descrive così la frustrazione di una generazione inafferrabile perché troppo complessa. I personaggi de I russi amano le betulle sfidano apertamente il cliché, lo negano e lo ridicolizzano: Cem, migliore amico di Maša, è il figlio omosessuale di genitori turchi musulmani emigrati in Germania; Sami, ex fidanzato di Maša, è arabo e allergico al lattosio; Daniel, un compagno di università, è tedesco e filoebreo.
Categorie geografiche, linguistiche, etniche o religiose non hanno alcun valore e non trovano conferma negli stereotipi più radicati. Lo spettatore deve confrontarsi con i propri pregiudizi e inorridire di fronte alla loro arbitrarietà. L'ironia con cui Ronen affronta un vero e proprio tabù rende le scene coinvolgenti ma ovattate, vicine allo spettatore ma non troppo. La tragicità del tema cede il passo alla comicità della rappresentazione per quasi tutta la durata del dramma. La messa in scena dello stereotipo in chiave ironica ne costituisce la sconfitta: con imbarazzante evidenza emerge un'assurdità caricaturale lontana anni luce da una realtà tutt'altro che omogenea. Gli spettatori in sala ridono, fanno autocritica, ma senza biasimo nei confronti di se stessi. Per la chiusa Ronen preferisce tuttavia dare maggior spazio al trauma della protagonista, partita alla volta di Israele in seguito alla morte improvvisa del fidanzato, alla ricerca di se stessa ma anche in fuga dal proprio dolore.
Gloria Reményi