di Eduardo Da Filippo
regia: Mario Martone
con Francesco Di Leva (Antonio Barracano), Giovanni Ludeno (Fabio Della Ragione),
Massimiliano Gallo (Arturo Santaniello), Adriano Pantaleo (Catiello),
Giuseppe Gaudino (Vicienzo 'O Cuozzo), Daniela Ioia (Armida),
Gennaro Di Colandrea (Pascale 'O Nasone), Viviana Cangiano (Immacolata),
Salvatore Presutto (Rafiluccio Santaniello), Lucienne Perreca (Rita),
Mimmo Esposito (Gennarino), Morena Di Leva (Geraldina),
Ralph P ('O Palummiello), Armando De Giulio ('O Nait), Daniele Baselice (Peppe Ciuciù)
scene: Carmine Guarino
costumi: Giovanna Napolitano
luci: Cesare Accetta
musiche originali: Ralph P
coproduzione: Elledieffe, Nest - Napoli Est Teatro e Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale
Milano, Piccolo Teatro Grassi dal 9 al 28 gennaio 2018
Il sindaco del Rione Sanità, capolavoro in tre atti uscito nel 1960 dalla melanconica e introspettiva penna di Eduardo De Filippo (Napoli 1900 – Roma 1984) che la inserisce nella raccolta Cantata dei giorni dispari e la interpreta con successo a Roma al Teatro Quirino nello stesso anno, si ispira a un personaggio realmente esistito, un certo Campoluongo, persona d'età e di imponente struttura corporea appartenente a una famiglia benestante di mobilieri e non camorristi e tuttavia assurto al ruolo di 'stimato arbitro' delle controversie del rione Sanità.
Da allora, molta acqua e altrettanta storia sono passate sotto i ponti e in quasi sessant'anni usi, costumi, mentalità e modi di vivere sono mutati in modo rapido e macroscopico anche attraverso un divenire generazionale più rapido e dinamico rispetto ai secoli addietro. Ne risulta una società apparentemente più vivace e intraprendente, ma a scapito dei valori morali e di un'elementare umanità nel passato più forti persino nelle componenti più deviate della società. Oggi al paternalismo autoritario si è sostituita una violenza più primitiva e aggressiva: un regresso sistematico esteso comunque a tutti gli aspetti dell'esistere e non solo partenopeo.
Anche il rione Sanità - sviluppatosi nel '500 su importanti e cospicue testimonianze storiche, destinato a dimora di una società medio-alta e divenuto una delle zone popolari della città - è entrato nel decadimento generale così come altre zone con certo facili della Napoli odierna ancorché paradossalmente proprio qui si conservino sprazzi di un'umanità altrove raggelata in modo direttamente proporzionale alla grandezza degli agglomerati urbani.
Non meraviglia quindi il fatto che Mario Martone (altro napoletano) abbia risposto all'invito di Francesco Di Leva di ambientare il suo primo lavoro eduardiano nel quartiere di San Giovanni a Teduccio, zona (a 50 m. dal mare) a rischio insieme a La Sanità e Scampia e ora oggetto di un risanamento anche in virtù della presenza della nuova sede dell'Università Federico II nell'ex Cirio, di una scuola di formazione della Apple e del Teatro Nest (Napoli Est Teatro di cui sono fondatori lo stesso Di Leva insieme ad Adriano Pantaleo, Giuseppe Miale Di Mauro e Giuseppe Gaudino), unico del quartiere (ricavato da un'ex palestra), dove si organizzano corsi per bambini e giovani allo scopo di allontanarli dalla violenza in cui vivono. Un ambiente drammaticamente aggressivo in cui i capi oggi hanno mediamente sui 30 anni: impensabile e impossibile per qualsiasi boss arrivare ai 75 come l'eduardiano Antonio Barracano!
Non bisogna dimenticare che lo stesso Francesco Di Leva – 'testa calda' nata e cresciuta in questo quadrato di mondo, nipote del panettiere del corso e lui stesso panettiere che non disdegna di esercitare tale arte quando ha tempo - ha anche persuaso prima Luca De Filippo e poi Carolina Rosi, la moglie che coordina oggi le attività della compagnia Elledieffe, a coprodurre il lavoro di Martone con lo Stabile di Torino e con il Nest presentando al pubblico un validissimo gruppo attoriale ben coeso con attori professionisti insieme a esordienti e non attori provenienti dal quartiere con il loro tormentato e doloroso retaggio esistenziale.
Se Martone racconta l'oggi asciutto, essenziale e rigoso nella scenografia salvo per le due baroccheggianti ma metaforiche statue di molossi, Eduardo ha descritto la propria epoca più accettabile per la minore carica di violenza, ma non per questo meno realisticamente intrisa di illegalità radicata ieri come oggi nella mancanza di cultura, ossigeno in ogni tempo per un riscatto sociale che oggi passa anche attraverso la miracolosa strada del teatro.
Uno spettacolo che va visto e goduto non come 'rottamazione di anziani' (la figlia di Antonio Barracano che in Eduardo è una giovinetta, qui è la deliziosa bimba di 9 anni di Francesco Di Leva), ma come monito affinché il gioco della violenza non deprivi le persone del piacere di invecchiare: un viaggio nella Napoli odierna contraddittoria come quella che Eduardo ha reso celebre circa dodici lustri fa.
Wanda Castelnuovo