di Ingmar Bergman
regia Andrei Konchalovsky
con Julia Vysotskaya, Federico Vanni
Scene e costumi: Marta Crisolini Malatesta
Luci: Gigi Saccomandi
Video: Mariano Soria
Foto: Marco Ghidelli
Produzione: Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale
Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia
Roma, Teatro Eliseo dal 5 al 17 Novembre 2019
Il teatro deve, innanzitutto, divertire. Ma questa componente di diletto mai può dissociarsi dall'intelligenza. Lo spettacolo, metafora che spinge lo spettatore alla riflessione su chi siamo e sul nostro tempo, deve smuovere pensieri in modo da produrre cambiamenti che preludono al miglioramento individuale. Come ottenere questo risultato? Rappresentando lavori classici o inediti. Anche trasponendo sul palco una storia nata per essere un film? Certamente sì. È quanto accaduto con Scene da un matrimonio, riduzione dell'omonimo film di Ingmar Bergman per la regia di Andrei Konchalowsky?
Dramma della solitudine di due poveri inconsapevoli innamorati, Milenka e Giovanni, che vivono il loro sentimento con ipocrisia, formalismi, silenzi, verità espresse a metà, luoghi comuni che infestano casa, cibi, pareti, quadri, vestiti e persino le macchine che sfrecciano roboanti per la strada sottostante. Atmosfera opprimente che, d'improvviso, soffoca e altro non richiede a chi vi vive che di essere squarciata, distrutta, annientata per divenire finalmente libero. È ciò che fa Giovanni che, stanco del suo matrimonio, lascia la moglie per intraprendere una fuga d'amore – lui, professore universitario – con una studentessa. Un'avventura che si rivelerà pia illusione, e che produrrà l'ennesimo rapporto falso dal quale Giovanni fuggirà. Egli tenterà di tornare da Milenka, che lo respingerà perché non si sente più legata al suo uomo di un tempo. Tuttavia i due non finiranno per essere indifferenti l'uno per l'altra. Si risposeranno, avranno altre vite. Ma diverranno amanti all'insaputa dei rispettivi coniugi. Si incontreranno in gran segreto, continuando ad alimentare quel mondo di ipocrisie dal quale, inutilmente, hanno tentato di fuggire.
Storia interessante e che, forse, quando fu girata da Bergman nel 1973 poteva aprire spiragli su situazioni confessate per metà o che si fingeva non esistessero per perbenismo. Ma oggi, nel nuovo millennio, cosa ci può comunicare di più di quanto già non conosciuto o vissuto? Questo il punto, se si vuole, che rende lo spettacolo di Konchalovsky poco intrigante. Anche dal punto di vista teatrale, la rappresentazione non ha momenti di grande originalità. Vi sono gli attori che, per un attimo, si estraniano dai loro personaggi introducendo le scene. Ma si tratta, ormai, di un espediente divenuto classico – Brecht ce lo può ben insegnare – e che più non stupisce.
Sarebbe ingiusto dire che la recitazione di Julia Vysotskaya (Milanka) e Federico Vanni (Giovanni) non sia stata buona, ma aveva poca efficacia. Non è risultata essere giustamente aggressiva verso i personaggi, così da disegnarli con ironia, condiscendenza e criticità se necessaria. Essi sono stati accettati ed eseguiti, ma senza riserve.
Ne è emerso uno spettacolo ben allestito, ma che – come la storia rappresentata – ha finito per collezionare un dizionario drammatico e drammaturgico a tutti noto che difficilmente può divertire stimolando acute riflessioni sul nostro tempo.
Pierluigi Pietricola